Venerabile P. Mariano Avellana Lasierra
Il Venerabile P. Mariano Avellana Lasierra, nacque ad Almudévar (Huesca – Spagna) il 16 aprile 1844. Fu battezzato il giorno stesso. Ricevette la confermazione il 2 aprile 1851. A 14 anni diventò seminarista esterno al seminario di Santa Cruz di Huesca. A 17 anni diventò seminarista interno. Il 21 dicembre 1867 fu ordinato diacono. Il 19 settembre 1868 gli fu conferita la consacrazione sacerdotale. L’11 settembre 1870 entrava nel noviziato dei Missionari Clarettiani a Prades, Francia, dove i religiosi, espulsi dalla Spagna a causa rivoluzione del 1868, si erano rifugiati. Il 29 settembre 1871 emise i voti religiosi. Il 25 settembre “día dichoso, día grande para mí” il Signore lo favorì di una visione, in seguito alla quale la sua vita, già buona, assunse una direzione impegnatissima a favore del bene. Il 1° agosto 1873 s’imbarcò come missionario per il Chile. Vi giunse l’11 settembre col proposito concepito nella visione ed ora pudicamente espresso di voler essere “o santo o muerto”. Fu innamorato di Cristo e del Vangelo; ma, anche, devotissimo del Cuore di Maria. Fu in Cile apostolo di statura gigante tra i poveri, gli ammalati e i carcerati per più di trent’anni d’instancabile vita missionaria. S’impegnò nell’apostolato e nell’esercizio delle virtù col il più grande zelo, animato da fede viva, forte speranza e ardente carità, tanto che, ben presto, gli fu dato il titolo di “Santo Padre Mariano”. Morì in fama di santità a Carrizal Alto (Chile) il 14 maggio 1904. Paolo VI il 7 gennaio 1972 decretò l’introduzione della Causa. Con il decreto del 23 ottobre 1987 sull’eroicità delle virtù è stato chiamato Venerabile.
PREGHIERA
Signore Dio nostro, che hai infiammato del tuo amore il tuo Servo Mariano e lo hai fatto Missionario zelante del tuo Figlio: concedici, per sua intercessione, quanto ti chiediamo…. e degnati di glorificarlo sulla terra. Fa che sappiamo imitarne le virtù e seguirne gli esempi, per cercare sempre e unicamente la tua maggior gloria e la salvezza dei fratelli. Per Cristo nostro Signore. Amen.
INFANZIA
Mariano Avellana Lasierra nacque ad Almudévar (Huesca – Spagna) il 16 aprile 1844 da Francesco e Raffaella, “agricoltori di buona condizione economica e buoni costumi”. Otto i fratelli. Gli Avellana erano oriundi di Nocito, di famiglia blasonata con stemma araldico recante sullo scudo un Crocifisso. Il bisavolo paterno del Servo di Dio fu il primo degli Avellana a stabilirsi ad Almudévar. Nella casa avita si conserva ancora lo stemma in pietra. Alla famiglia Avellana era riservata la cappella di Sant’Anna nella Chiesa parrocchiale. Qui Mariano venne battezzato lo stesso giorno della nascita. I parenti conservano tuttora la brocca di vetro per l’acqua lustrale usata al suo battesimo e in quello degli altri della famiglia. Quando nacque i genitori abitavano nella calle del Medio, n. 14, oggi calle Izquierdo, angolo Via Dato. Almudévar stava a ridosso del vecchio castello sotto la protezione della Patrona N. S. della Corona, venerata nella cappella dominante il paese di tremila abitanti, la maggior parte agricoltori. Oltre questo santuario e l’ampia Chiesa parrocchiale, ne esistevano altre due, minori, e un piccolo spedale. Alla vita spirituale del paese attendevano il parroco e dieci beneficiati.
Il 2 aprile 1851 il Servo di Dio ricevette la Cresima assieme ai suoi fratelli nella Chiesa parrocchiale dalle mani dell’allora Vescovo di Jaca, poi Cardinale Arcivescovo di Santiago, Don Michele Garcia Cuesta.
Frequentò le scuole elementari locali. Il Maestro Tommaso Lalaguna nel 1855 affermava: “Mariano ha seguito puntualmente le mie lezioni con profitto e condotta irreprensibile”. In seguito i genitori lo iscrissero alla scuola media di Huesca -oggi Museo Provinciale- dove, dal 1855 al 1858 attese allo studio del latino e delle lettere.
Fin dai più teneri anni nel suo cuore fece profonda presa l’amore alla Madonna. “Eri ancora molto piccolo quando t’insegnai a salutarmi mattina e sera con tre Ave Maria” -scrive nei suoi appunti il Servo di Dio mentre ascoltava la voce della Regina del cielo-. Dell’ambiente religioso della famiglia assicura: “Dopo che a Dio, l’essere Sacerdote, lo devo ai miei genitori”.
SEMINARISTA E SACERDOTE A HUESCA
L’anno 1858 entra come alunno esterno nel Seminario della Santa Croce di Huesca. Nel 1861 vi resta da interno. Gli ultimi anni della carriera li passa nella Sezione Ausiliare del Seminario di Sesa: Nostra Signora de la Jarea. Il 19 settembre 1868 a Huesca viene ordinato Sacerdote dal Vescovo Basilio Gil Bueno nella cappella del Palazzo Vescovile, dove, già prima, aveva ricevuto dallo stesso relato gli altri ordini sacri.
19 settembre 1868: data importante per la storia della Spagna. A Cadice, sollevatasi la squadra navale, Prim proclama il Manifesto rivoluzionario: “La Spagna con onore”. Ha inizio così la rivoluzione settembrina. “La Gloriosa”, dalle tante tristi conseguenze per la Nazione e per la Chiesa. Il Vescovo di Huesca è scacciato dalla sua Diocesi il Seminario chiuso. L’ultimo anno di studi il neo Sacerdote è costretto a ricevere lezioni private a casa dei professori.
Il Padre Mariano, di statura alta, di belle maniere, carattere forte ed energico, gioviale di modi, elegante e deciso, possedeva anche una voce possente e impressionante. Cantando il Vangelo nella sua ordinazione a Diacono, il Vescovo rimase sorpreso. Lo nominò Sottociantro Beneficiato della Chiesa di S. Pietro Vecchio in Huesca.
Si iscrisse alla Confraternita della Madonna del Carmine, dello Scapolare Celeste, della SS. Trinità, della Riparazione sabatina. A detta dei testimoni nel Processo, fu esemplare e osservante dei doveri sacerdotali, senza segni particolari o straordinari. Ricordando che nel giorno della sua prima Messa volle fosse dato un pranzo ai poveri del paese. Così pure: si distinse nella bontà verso i bisognosi, da lui soccorsi generosamente. Capitò che, non avendo altro da offrire, si tolse la talare e la donò a un povero.
MISSIONARIO FIGLIO DEL CUORE DI MARIA
Nel 1868 a Huesca si stabilirono i Missionari del Cuore di Maria. Dalla loro Casa – Missione presso la Chiesa delle Cappuccine, svolsero un intenso apostolato: missioni, esercizi al clero, direzione spirituale, ritiri al Seminario. Nel 1867, ancora seminarista il Servo di Dio, tennero una missione al suo paese di Almudévar i Padri Giuseppe Serra a Ilario Brossosa. Avvicinando con frequenza i Missionari, sentì la chiamata di Dio alla vita religiosa e missionaria.
Il 7 settembre 1870 si avviava al Noviziato Claretti ano di Prades. Soltanto sua zia Marianna Avellana, donna virtuosa e con fama di santa, residente en Almudévar, fu al corrente quella decisione. Lo aiutò nelle spese per il viaggio in Francia. Non sarebbe ritornato più al suo paese, pur portandolo profondamente scolpito nel cuore. Parimenti non avrebbe più visto neanche Huesca. Impressiona leggere nei suoi quaderni spirituali il lunghissimo elenco di persone per le quali pregava ogni giorno: familiari, amici, conoscenti del paese, compagni di Seminario e della parrocchia, canonici, beneficiati, autorità, senza dimenticare nessuno, dal Prelato da cui fu ordinato Sacerdote al carrettiere che da Almudévar a Huesca portava i pacchi e gli ortaggi inviatigli dai genitori e familiari.
„O SANO O MORTO”
Nel Noviziato Clarettiano di Prades il P. Mariano cominciò una vita nuova. La casa era angusta, insufficiente. Là s’erano rifugiati provvisoriamente i Missionari della Congregazione in attesa di tempi migliori per far ritorno in Spagna. L’osservanza religiosa vigeva in tutto il suo rigore.
La tenacia aragonese del Padre, la sua dedizione totale alla volontà divina trionfarono sulle non piccole difficoltà venutegli incontro: il sonno, la fame, la sensualità. “Per tutta la sua vita dovette lottare con violenza, quasi fosse stato un recente convertito, contro la sensualità”. Sentiva sempre fame o desiderio di mangiare nonostante i suoi digiuni giornalieri. Aveva sempre sonno e desideri di comodità, come se l’uso delle mortificazioni non potesse adattarsi al suo temperamento. Era deciso, però, di diventare santo. Nel Noviziato formulò un grande proposito: “il proposito di tutta la mia vita è di compiere con perfezione le azioni ordinarie”. “Il religioso deve lavorare -diceva- non a giornata ma a cottimo”. ” 29 settembre 1871 emise la professione religiosa nelle mani del Rev.mo P. Giuseppe Xifrè.
Poco dopo i Superiori lo destinarono alla nuova fondazione di Thuir (Francia). Peccato che il P. Mariano sia tanto parco nel parlare di sé stesso, negli appunti spirituali. In essi, però, viene ricordata una grazia straordinaria: la visione avuta il 25 settembre 1872. G li si presentò la grandezza, l’amabilità e la misericordia del Signore di fronte alla sua povertà, meschinità e miseria. “Un grande giorno -scrive-, un giorno felice… Ricorda come vedevi te stesso… Ricordati sempre che quel giorno promettesti a Dio di osservare con fedeltà ed esattezza le regole e i propositi che avresti fatto, imitando la generosa “risoluzione e magnanimità di cuore -di S. Agostino … (Forse i Santi avevano più salute e robustezza della tua?) Sono disposto a soffrire ciò che Tu vorrai. Se i miei Superiori me lo chiedessero, soffrirei volentieri anche la morte per Te…
Nel 1873 fu destinato al Cile. Prima della partenza, il P. Mariano in ginocchio davanti a tutta la Comunità riunita in refettorio, chiese ai presenti preghiere per poter vivere sempre l’ideale propostosi fin dal Noviziato: “O SANTO O MORTO! “. Qualcuno non seppe nascondere un sorriso sentendo l’inaspettata e decisa risoluzione di quel missionario aragonese. Tutti, però, rimasero profondamente impressionati. Il P. Mariano era risoluto di diventare santo ad ogni costo.
Per il Cile i Missionari s’imbarcarono il 10 agosto e vi arrivarono un mese dopo.
APOSTOLO DEL CILE
Il P. Mariano giunse a Santiago 1’11 settembre 1873. Aveva 29 anni. Il resto della sua vita -altri trenta- lo stava per trascorrere nella Nazione Cilena in un’intensa attività missionaria senza soste, senza un giorno di vacanza, senza ritornare nella sua patria, andando di paese in paese, di ospedale in ospedale, di carcere in carcere, per tutta la lunga e accidentata geografia del Cile, particolarmente nelle regioni minerarie del Nord. Egli viene considerato il grande apostolo del Cile settentrionale. Più di trent’anni missionario instancabile: da Concepción ad Antofagasta.
Non e facile immaginare quanto, alla fine del secolo scorso, fosse gravoso il percorrere i paesi e le città del Cile, “una geografia tormentata” per i suoi 4,200 chilometri da un estremo all’altro per le sue montagne e vulcani, sia, pure con il loro bellissimi panorami, specialmente quelli centrali e meridionali, per gli impressionanti deserti del Nord, da La Serena all’Arica aventi miliaria di Km. privi di vegetazione. Il deserto di Atacama è la zona più secca e arida del nostro pianeta. Località senza luce e comodità alcuna, con enormi distanze l’una dall’altra. Ancor oggi ci sono delle parrocchie con più di cento Km. di estensione. Miniere di salnitro disseminate in orride località. Spessissimo i Missionari dovevano andare a cavallo lunghe giornate, assai pericolose Un caso: per andare da Ovalle alla missione de Franquilla, il P. Mariano e i suoi compagni dovettero percorrere 73 leghe di durissima attraversata.
Fortunatamente ci è possibile seguire il Servo di Dio anno per anno nelle sue scorrerie apostoliche annotate con cura sui libri di ministeri delle Comunità Clarettiane dove fu destinato: Santiago La Serena, Valparaiso, Curicò e Coquimbo. In qualcuna di esse fu Superiore, benché per pochi anni. Il numero complessivo delle sue missioni supera le 534, oltre gli Esercizi, i Ritiri, la Catechesi, predicazioni varie, Novene, visite agli ospedali e carceri, conferenze a Religiose. Non si esagera nell’affermare -secondo documenti e dichiarazioni- che le prediche del P. Mariano superano le 20.000.
Non appena giunto in Cile nel settembre 1873, diede inizio alle missioni. Dapprima trovò non poca fatica nel preparare i discorsi. Ma già negli ultimi tre mesi di detto anno predicò sette missioni: Colina, Doñigue, Coltauco, Pichidegua, Peumo Alhuè e al fondo Aculeo, dove si confessarono ‘oltre 12.000 persone. A La Serena giunse nel gennaio 1880 e già in febbraio cominciò la sua opera, finita quell’anno con ben quindici missioni! Un compagno di lavoro informa: “Il P. Mariano nella sua permanenza in città, così aveva distribuito le sue attività apostoli che: ogni giorno visitava l’ospedale; lunedì le carceri; i martedì il rione Máquinas; il giovedì la zona del cimitero; sabato Santa Lucia. In tutti quei posti recitava ogni giorno il Rosario e insegnava il catechismo”.
Nel 1882 tenne 23 missioni, oltre all’assistenza spirituale del Battaglione Coquimbo, ai carcerati e ammalati.
La sua predicazione era semplice. La voce stentorea datagli da Dio lo aiutava tantissimo. Così pure la robusta salute, quasi mai intaccata. Le malattie con cui il Signore lo provò, non furono d’impedimento ai suoi ministeri. Persuaso -scrive il P. Santisteban, suo compagno in vari ministeri- essere l’ignoranza religiosa uno dei mali più grandi, nelle sue prediche cercava piuttosto d’insegnare che di commuovere”.
Le sofferenze e le prove sostenute dal P. Avellana, solo Dio le conosce. Furono moltissime e impressionanti. Nella campagna missionaria di Copiapò una volta non poté nascondere la sua preoccupazione e disse pubblicamente: “Al Nord il potere del demonio è meno contrastato che al centro e al Sud della Repubblica”.
Col P. Ruiz s’imbarcò a Coquimbo. Vicino alla loro cabina c’erano dei commercianti, i quali proferirono parole ingiuriose contro la religione. Il P. Mariano non poté contenersi. Mentre il compagno voleva trattenerlo dal reagire, lui, uscito improvvisamente, affrontò i maldicenti con tutta la forza della sua voce: “Disgraziati! Come ardite bestemmiare e offendere Dio?… Se non tacete vi prendo per la gola e vi metto con la testa nella carbonaia!”. Quei tali rimasero tanto spaventati da non ritornare più per tutto il viaggio. AL termine della missione al Cerro Bianco scendendo a Copiapò, i cavalli si separarono e l’asse della carrozza si ruppe. Il P. Mariano rimase stesso a terra, fuori dai sensi, per lungo tempo. Il suo compagno, col braccio fratturato, immaginò morto all’istante il P. Mariano. Ma questi, ritornato in sé, esclamò: “Le avevo detto che qui i demoni hanno più libertà”.
Una e mille volte il Servo di Dio ripeteva: “Dio mi chiama alle missioni”. A detta del Fratello Sazo nel Processo di beatificazione: “La sua passione dominante era la conversione delle anime. Non perdeva nessuna occasione per ottenerla. Una volta mi confidò che se lo avessero chiamato a confessare un ammalato, pur avvisato che alla porta l’attendeva un assassino per ucciderlo, egli non avrebbe dubitato un istante ad andare a confessare quell’infermo”.
GLI OSPEDALI E LE CARCERI
Santa ossessione del P. Mariano furono le carceri e gli ospedali. Bastino alcune testimonianze del Processo. “Gli ospedali e le carceri costituirono l’oggetto principale dei suoi impegni sacerdotali”. “Spese tutta la sua vita al servizio del prossimo: nelle missioni, nelle carceri, negli ospedali”. “Visitare gli ospedali e confessare gli ammalati per lui era un santo svago”. “Instancabile nel servire gli infermi, quando si trovava in città tutti i giorni si recava immancabilmente agli ospedali”. “L’amore e l’affetto ai malati dell’ospedale li ebbe costantemente tutta la vita, al punto che, appena di ritorno dalle missioni, anche se stanco, lasciava le sue cose in camera e correva subito dal Superiore per chiedergli il permesso di visitare i suoi cari ammalati dell’ospedale”. “L’amore, la tenerezza, la sollecitudine del P. Mariano per gli ospedali erano risaputi da tutti. Mi disse un giorno: Padre, si affezioni agli ospedali. Soltanto Dio e io conosciamo le grandi consolazioni da me trovate in essi”. “Non ci fu ospedale o carcere del Cile che il santo Padre Mariano non avesse visitato”. “Ebbe da Dio una grazia specialissima per confortare gli ammalati”.
Non contento di visitare gli ospedali, chiedeva ai Superiori di essere chiamato lui di notte per portare i Sacramenti agli infermi o ai moribondi invece di qualche altro Padre della Comunità.
I n una lettera a sua nipote, Suor Sebastiana, Religiosa della Carità di Sant’Anna, le scriveva: “Ti raccomando due virtù importanti nel trattare le persone dell’ospedale, oltre alla carità che deve essere la tua virtù favorita; la modestia e la dolcezza. Con la prima edificherai tutti; con la seconda guadagnerai i cuori a Dio”.
Per due anni il Servo di Dio fu Superiore della Comunità Clarettiana di Valparaiso e incaricato dell’ospedale della città. In questo lasso di tempo -come risulta dai registri delle parrocchie- egli personalmente uni in santo matrimonio più di centoventi coppie dell’ospedale, dove allora venivano ricoverati 600 persone in media al giorno. Là c’era ogni classe di malati: soldati, marinai, detenuti, meretrici, avventurieri… Grandi e clamorose conversioni ottenne il P. Mariano. Le Suore di Carità, alla cura delle quali era affidato l’ospedale, attestano: “Mentre egli era cappellano, nessun infermo mori senza Sacramenti”. Ed egli stesso in una lettera scrive con semplicità: “Ai tempi miei nessuno è morto impenitente”.
“Stetti con lui a Valparaiso -cosi dichiara il Fratello Sazo, Clarettiano-, e lo accompagnai più volte… Assisteva gli ammalati con grande attenzione, prestandosi ai servizi più umili: li pettinava, radeva loro la barba, li ripuliva. Per intrattenerli si metteva a cantare. Nei giorni feriali recitava in ginocchio il Rosario in ciascuna delle otto sale. Oltre a ciò, nei giorni festivi e domenicali predicava loro dalle sette alle otto volte di corsia in corsia. Li confessava… Portava sempre il Crocifisso, lo baciava e faceva baciare. Vedere il P. Mariano all’ospedale era come vedere un santo…”.
Con tutta verità il P. Alduàn poté scrivere nella biografia di un altro Clarettiano, il P. Vallier, anch’egli apostolo nel Cile di allora: “All’ospedale di Valparaiso rimarrà eterno il ricordo di chi speriamo vedere presto sugli altari, il santo P. Mariano, che operò prodigi di zelo e carità. Per rivedere santi eguali occorrerebbe riportare in quelle sale un San Giovanni di Dio o un San Camillo de Lellis”.
Al pari degli ospedali non c’è stato nel Cile carcere o penitenziario non visitato dal P. Mariano.
Nelle missioni vi si recava ogni giorno o quasi tutti i giorni là dove risiedeva per predicare e consolare i detenuti. Lo stesso Servo di Dio racconta la sua assistenza spirituale a un condannato a morte in Valparaiso. Venne fucilato nel cortile del carcere, presente numeroso pubblico. Il giustiziato aveva chiesto al p. Mariano di domandare perdono in suo nome a tutti i presenti. Così fece. Subito dopo l’esecuzione, rivolse loro alcune parole assai impressionanti. La stampa di Valparaiso riportò la notizia il di seguente mettendo in rilievo lo zelo apostolico di quel missionario.
Nella città La Serena-si legge nel Processo- “il Mariano conoscendo la cattiva confezione dei pasti del carcere, mi chiese la carità di soccorrere i detenuti con qualche elemosina … Il Servo di Dio mi raccontava che essi, all’uscire dal carcere, andavano a ringraziarlo dei servizi loro prestati, con promessa di cambiar vita.
Ancora: “il P. Mariano, saputa l’innocenza di un detenuto, si recò di persona dal Presidente della Repubblica. In ginocchio gli chiese la liberazione. Per rispetto a lui, il Presidente la concesse”.
IN CROCE CON CRISTO
Il Signore provò il suo Servo con tre penose malattie. Un giorno, d’improvviso, gli si apri un piccolo ascesso alla gamba destra. Ne usci un flusso di sangue senza poterlo fermare subito. Credeva di morire. Finalmente il medico poté tamponarlo. La ferita, però, non si chiuse del tutto e continuò ad aprirsi sempre più, causando orrore a chi la guardava. Non si comprendeva come egli potesse continuare a lavorare e camminare in quello stato. Nondimeno il Servo di Dio non cessò mai la sua attività: camminava, s’inginocchiava, restava in piedi lunghi tratti; montava a cavallo nelle lunghe e durissime giornate da un paese all’altro nelle missioni. “La ferita non rimarginò per tutta la vita”, -cosi confidò al Fratello infermiere-. Era certo che non sarebbe più guarito da quella piaga, grande più di una mano aperta”. Ebbi sempre orrore per quella carne viva e scura, da lui coperta con una fascia”. Chiamava la piaga: “un regalo di Dio”. Nel curarla non si lamentava mai, facendo il
segno della croce al principio e alla fine.
Vedendo quella piaga spaventosa, un Padre esclamò: “Lei vive per miracolo”. Il Servo di Dio annotò subito nei suoi appunti: “Devo quindi essere tutto di Dio”. D’altra parte, tranne il suo confessore e i Superiori, nessuno seppe che l’herpes gli procurò per molti anni tali disturbi fisici e morali da costituirgli un costante e intenso martirio.
Predicando nel 1895 ai detenuti nel cortile del carcere di Curicò, ebbe un repentino attacco di paresi facciale. Rimase con la bocca contorta e grave difficoltà di parola. Terribile la sua angoscia. Egli si sentiva prima di tutto e soprattutto missionario: avrebbe potuto continuare a predicare? Rassegnato alla volontà divina, si attenne alle prescrizioni mediche. Raddoppiò le preghiere. Molte volte al giorno percuoteva la faccia con delle ortiche. Si sforzava di pronunciare. A poco a poco guarì e poté riprendere l’attività missionaria sino alla fine dei suoi giorni:
Tutte queste sofferenze e molte altre ancora gli sembrarono poche pur di raggiungere il suo ideale missionario. “Umiliami, Signore, -ripeteva- ma salva le anime!”
“IL SANTO PADRE MARIANO”
Il Vescovo de La Serena, Dr. Fontecilla, buon conoscitore del Servo di Dio, attestava: “La gente chiama il P. Mariano: “Il Santo Padre Mariano e dice il vero”. In tutto quel Vescovado lo si chiama soltanto così. Anche il Fratello Marcè, Clarettiano, del quale pure è introdotta la causa di Beatificazione, afferma: “L’ho sempre considerato un Santo e così lo chiamavano molti altri: “Il Santo Padre Mariano”.
Per ciò che riguarda le sue qualità naturali, il Servo di Dio era colto, compito, di bella presenza, con finezza di tratto e parola, da renderlo rispettabile, mite, umile, caritatevole, sacrificato fino all’eroismo, amico degli angeli e padre dei poveri, senza attaccamenti terreni. “senza mai conoscere sempre più la sua virtù eroica. Il genio vivo e il carattere violento lo ricordava soltanto chi l’aveva conosciuto da giovane. I n ciò sono d’accordo quanti vissero con lui”. “Era la stessa mitezza, benché di carattere violento”. “Una delle attrattive del P. Mariano: il candore, la semplicità trasparente dal suo volto…”. “Nel tempo in cui lo conobbi non ricordo di aver riscontrato in lui la più piccola mancanza contro i Comandamenti o le Regole”. “Dicono avesse un carattere violento, ma di questo non mi sono mai accorto. Notai invece nel suo tratto molta dolcezza e umiltà”.
Fin dal Noviziato formulò una decisione irrevocabile con il suo celebre detto: “0 Santo o morto’: Doveva essere santo, senza alcun patteggiamento né con i nemici esterni, né con quelli interni. È quanto ripeteva frequentemente nei suoi appunti spirituali e propositi che terminavano con la frase: “In questo non c’è altro”. Fare le cose della volontà di Dio e farle male, imperfettamente, non gli entrava in testa. Diceva: “Ho più paura di un solo peccato veniale che di tutte le malattie, persecuzioni o disgrazie temporali”. Il segreto della santità del P. Mariano era: far bene ogni cosa.
Immancabilmente si raccoglieva in ritiro spirituale due volte al mese. Anche nelle missioni trovava tempo per passare delle ore dinanzi al SS. Sacramento. Spesso trascorreva la notte in preghiera.
Quante volte i fedeli lo sorpresero con le braccia in croce davanti all’altare e attorniato da splendori col corpo in estasi durante la celebrazione della S. Messa! Aveva una grandissima devozione alla SS. Trinità. Ogni giorno recitava il Trisagio, il S. Rosario, visitava spesso il SS. Sacramento. Diceva pure la Corona dei Sette Dolori della Madonna. Faceva la Novena del Cuore di Maria per la conversione dei peccatori, quella della Grazia di S. Francesco Saverio e teneva altre devozioni particolari. Sul tavolino della sua stanza c’era sempre un’immagine di Gesù con la croce sulle spalle. Ma la devozione preferita era il Cuore Immacolato di Maria. Non poteva essere diversamente, sapendosi egli Figlio del suo Cuore. Sempre col Rosario in mano, lo recitava in pubblico o in Chiesa, rivestito di cotta, per dare maggiore solennità. Lo raccomandava costantemente. Chiese perfino ai Superiori della Congregazione che tutti i Missionari lo portassero a vista sull’abito. Fu anche molto devoto di S. Giuseppe, degli Angeli Custodi, dei grandi Santi Missionari, come S. Francesco Saverio, e dei Santi Ospedalieri, quali S. Giovanni di Dio e S. Camillo de Lellis… Portava una straordinaria devozione a S. Teresa di Gesù, da lui citata costantemente nelle prediche e negli scritti. Aveva fatto proposito di leggere ogni giorno qualche brano delle opere della Santa; così pure di S. Tommaso d’Aquino. Il suo libro preferito a Santiago era “La grande donna Teresa di Gesù”, edizione preparata e commentata dall’oggi Beato Enrico Ossò.
Il Signore e la Madonna spesso lo consolarono con lumi e grazie segnate diligentemente negli appunti. Aveva preso tanto sul serio l’esercizio della presenza di Dio che, avendo trascorso un’ora
senza pensare a Lui, forse perché impegnato dalle occupazioni di Superiore, riprese aspramente se stesso e, pentito, si rivolse al Signore: “Perdonami, o Dio mio. Tanto tempo senza pensare a Te!”.
Il 15 ottobre 1884 propose di fare ciò che era il più perfetto. Non molto dopo vi ci s’impegnò con voto, da rinnovare nelle feste di Maria. Una luce del Signore con cura annotata: “La rilassatezza delle Comunità dipende dall’inosservanza dei Superiori, come l’osservanza dal loro buon esempio”. Convinto di questa verità, stimò tanto le Costituzioni della sua Congregazione da inginocchiarsi e baciar le con affetto e devozione nel prenderle in mano.
“Le sue note, per quanto laconiche, hanno del commovente e tocchi sublimi”, scrive il biografo P. M. Alduàn. Il Servo di Dio, alla pari di S. Paolo, non ne poteva più con il pungiglione della carne. Dal Signore ricevette un’ispirazione: “La conformità alla mia volontà deve arrivare a rassegnarti a non ottenere ciò che desideri. Non voglio concederti una castità angelica, ma da patire terribili tentazioni … Abbi pazienza Credi: è meglio non inquietarti né lamentarti se non hai la purezza dei santi e degli angeli…”.
All’inizio del 1891, nella missione di Sotaqui, Dio lo favori con una specialissima devozione al Sacro Cuore di Gesù. Il 4 settembre dello stesso anno gli fece capire chiaramente: se voleva essere suo discepolo doveva portare sempre la croce senza mai lamentarsi (e qui ricorda le sue malattie).
Non poche erano le sue penitenze, oltre alle sopradette infermità: disciplina giornaliera, cilicio due volte al meno la settimana, non soddisfare la sete, pregare in piedi, bere poco, lasciare parte del cibo pranzo e cena tutti i giorni, alzarsi alle tre del mattino. Tutto questo gli sembrava poca cosa e chiedeva ai Superiori ancora di più.
Il 18 maggio 1900, durante la missione di Graneros, il P. Mariano fece il voto di sacrificio. Lo scrisse su di un pezzo staccato di carta, con data e firma, che portava sempre con sé. “Dio onnipotente ed eterno … m’impegno con voto perpetuo di sacrificio, da rinnovare una volta al giorno alla tua divina Maestà l’offerta dei miei dolori e della mia vita per la salvezza delle anime. I n particolare… M’impegno pure con lo stesso voto a sopportare pazientemente senza mormorare le sofferenze e la morte; di chiederti ogni giorno di accettarmi come vittima; di condurmi nella via della Croce e dei dolori del tuo divino Figlio … Cuore agonizzante di Gesù, vittima di amore per noi, degnati di unirmi alle tue sante disposizioni, in modo particolare a quelle che avesti nell’Orto degli Ulivi e sulla Croce. Offrimi in sacrificio con Te al Padre Celeste quale olocausto di gradito odore. Cuore compassionevole di Maria, siimi propizia perché adempia fedelmente le mie promesse; supplica lo Spirito Santo che mi conceda le sue più abbondanti benedizioni. Amen”.
PICCOLA AUTOBIOGRAFIA
Cinque anni prima de la morte, il P. Mariano, desideroso di maggior perfezione scrive ai Superiori esponendo quanto aveva in cuore. Perché essi conoscano meglio il suo spirito, con tutta semplicità e umiltà presenta il panorama della sua anima. La lettera fu pubblicata sugli Annali della Congregazione poco dopo la morte affinché si ammirasse lo spirito e si imitassero gli esempi del Servo di Dio. Stralciamo alcuni paragrafi.
Pulpito. – Mai vi sono salito alla ventura. Ho predicato sempre preparato o di cose sapute.
Ufficio Divino. – Non l’ho mai lasciato. Lo recito sempre in piedi e, se mi è possibile, davanti al SS. Sacramento. Se lo dico da solo, percorro la Via Crucis.
Missioni. – Da parte mia, io confesserei sempre gli uomini; benché procuro che anche gli altri Padri li confessino per turno. Se però li vedo stancarsi o noto un trattamento poco conforme alla carità,
cerco con prudenza di sollevarli. Ordinariamente il Rosario lo dirigo io pubblico. Mi adopero perché nessuno ometta il ringraziamento dopo la Comunione. Nelle missioni non molto affollate, se manca chi lo faccia, io stesso li aiuto; in quelle numerose invece trovo sempre qualcuno a prestarsi: ciò è provvidenziale. Il Signore mi dà tanta buona volontà e forza per superare tutte le difficoltà in questi ministeri, pensando che si cerca la gloria di Dio. Se mi si dicesse essere volontà di Dio il predicare sempre missioni digiunando, senza mangiare carne né bere vino, ecc. … subito e col più grande piacere ripeterei col profeta Isaia: “Ecce ego, mitte me”: Eccomi, mandami”.
Levata. – Saranno circa diciassette o diciotto anni che mi alzo alle tre e mezzo del mattino. Però, in tempo di missione, se dormiamo nella stessa camera, per non disturbare recito in ginocchio a letto due parti del Rosario. Qualche volte e solo per alcuni giorni ho avuto il permesso di alzarmi alle tre.
Acciacchi. – Da cinque o sei anni soffro a una gamba … Da molti anni un umore erpetico… E da poco più di tre anni ebbi un attacco di paresi facciale, con dei postumi durati sempre. Grazie a Dio, tutto è compatibile con i lavori apostolici, come mi risulta dell’esperienza. In questo scorgo una provvidenza particolare del Signore, una grande protezione di Maria SS., degli Angeli e dei Santi.
Ospedali. – Quando vado all’ospedale predico e confesso sempre. Di ammalati ne ho confessati migliaia e l’ho fatto per 26 anni quando le circostanze me lo permettevano. Non ho bevuto mai un bicchiere d’acqua, meno due volte che presi qualche cosa insignificante trovandomi indisposto.
Messe. – Mi preparo sempre. I n ringraziamento ascolto un’altra Messa. Negli impegni faccio un ringraziamento di un quarto d’ora. Dalla mia permanenza a Santiago (tre anni) confesso appena; così posso ascoltare qualche Messa, recitando l’Ufficio o altre devozioni. Mi va molto bene.
Tempo. – Cerco di approfittar lo. Magari potessi averne di più… -rosicchiandolo al sonno! Amo molto lo studio.
Forze. – Raramente mi stanco. Quante volte nelle missioni faticose o negli ospedali mi dico: “Oh, se potessi continuare almeno un altro paio d’ore o finché mi stanco!”.
Santa indifferenza. – Mai ho chiesto di cambiar casa né occupazione. La santa obbedienza è il mio Nord.
Confessioni. – Credo non aver trascorso otto giorni senza confessarmi nella Congregazione. Di rado, per tranquillità di coscienza, l’ho fatta due volte in settimana.
Superiori. – Cerco di considerar li quali Rappresentanti di Dio, come lo sono realmente. Ad ogni Superiore, immediato o di altra Casa, scrivo in ginocchio se mi è possibile.
Chiarezza di coscienza. – Non so di aver nascosto nulla d’importante, sia mio che di altri, a chi ero tenuto di riferire.
Difetti. – Ne ho avuti e ne ho molti; ma, sull’esempio del P. La Puente, non faccio mai pace con essi. Primo: domando perdono all’offeso. Secondo: se mi è permesso, in pubblico. Terzo: mi confesso. Da quando sono nella Congregazione la coscienza non mi rimorde d’aver mai commesso peccato grave. Quanto devo ringraziare il Signore per cosi grande misericordia!
Mortificazione esterna. – Trascorro interi anni senza prendere nulla tra pasto e pasto. Non ho mai lasciato i cilizi e la disciplina, fuorché nelle malattie.
Povertà. – Per conto mio mangerei ciò che lasciano gli altri. Andrei sempre in treni di terza classe. Dalla mia entrata nella Congregazione non ho mai usato cappelli, breviari o altro nuovi… e se qualche volta ho usato sottane, pantaloni nuovi, ecc., fu perché non potevo avere altro.
Devozioni. – Non le trascuro mai; soltanto nel tempo di missioni impegnative… come pure la mezz’ora di preghiera obbligatoria, che ordinariamente supplisco con l’ascolto di una S. Messa.
Orazioni, letture, esami. Itinerario. – Non ho mai tralasciate queste pratiche, facendo lo in un modo o in un altro. Nei viaggi a cavallo, talora di un’intera giornata, le supplisco col Rosario, giaculatorie… In treno chiedo scusa ai compagni o estranei che mi parlano … e cosi attendo alle mie devozioni.
Propositi. – Credo di non aver lasciato nessuna settimana di leggerli, e, prevedendo di non avere tempo, la settimana prima li leggo due volte. Sempre e in ogni circostanza faccio dei propositi. Se nuovi o di cose dimenticate; li scrivo. Ciò mi è giovato molto.
Vite di Santi. – Mi piacciono assai. Ho una santa invidia di non poterli imitare nelle loro virtù, specialmente nelle opere di zelo.
Carità fraterna. – Mai ho avuto amicizie o inimicizie dentro o fuori delle Congregazione.
Credo sufficiente quanto detto perché si possa capire quale spirito mi ha guidato da quando ebbi la grande gioia d’essere entrato nella nostra amata Congregazione.
Padri miei carissimi: sono persuaso che, dopo Dio, tutto devo alla mia SS. Madre, la Vergine Maria, al mio Angelo Custode, a parecchi Santi di mia devozione, alle anime del Purgatorio e in modo
particolare al nostro Ven. Fondatore. Pertanto devo essere riconoscentissimo per cosi insigne favore, osservando questa norma di vita in penitenza dei miei grandi peccati.
L’esperienza del passato m’insegna a non abusare nel futuro. Così spero dalla misericordia di Dio. Mai ho avuto difficoltà di fare così; sono vissuto molto tranquillo E se a volte, per rispetto umano, per imprudenza o indolenza ho trascurato qualcosa dei miei propositi, ho provato profonda pena. Tanto, presto dovrò lasciare tutto! La vecchiaia e la morte in seguito s’impossesseranno della mia umile persona. Perciò, nel nome del Signore, chiedo:
- Santa libertà di lavorare per la gloria di Dio…
- Di alzarmi alle tre del mattino; lasciare la cena… lo digiunerei sempre. Mi permettano di fare la prova per un anno o mezzo: vedranno come il Signore mi favorisce.
- Se i miei Superiori immediati non sono d’accordo con i miei desideri, questo mio scritto sia trasmesso integro al Governo Generale della Congregazione, perché, col suo criterio più imparziale e illuminato, si conosca meglio quale sia la volontà di Dio; così resterò tranquillo con la sua divina grazia.
- Occupare sempre l’ultimo posto nella Casa dove mi destini l’obbedienza.
- E, infine domando e desidero con tutta l’anima che; risolti a favore o no questi miei desideri… lo fritto venga stracciato. Non si parli più in mio favore né vivo né morto. “Soli Deo honor et gloria”. Il mio raccolto è niente e peccato, come l’afferma la Fede e lo prova l’esperienza di tutta la mia vita”.
MUORE ALL‘OSPEDALE
Il 13 gennaio 1903 veniva solennemente inaugurata la nuova Casa-Missione del Clarettiani a Coquimbo, nelle Chiesa di S. Luigi. Presiedette il rito il Prelato de La Serena. A questa Comunità fu destinato il P. Mariano. Era l’ultima sua destinazione. La gente già lo conosceva. Di rilievo è il fato che, il giorno seguente, il giornale “Il Commercio” de La Serena, descritta la cerimonia della presa di possesso, pubblicava queste note significative:
“Si carcerati di Coquimbo. Ieri stesso finite le feste, avete potuto ascoltare la voce del santo P. Mariano (questo è il nome col quale è conosciuto e chiamato da Antofagasta all’Arcipelago) quel fin d’ora avrete quotidianamente in vostra compagnia per portare il conforto e la conformità ai vostri cuori. Ammalati dell’ospedale, ogni momento il P. Mariano sarà al vostro capezzale a spargere il balsamo della consolazione sulle vostre anime, asciugare le vostre lacrime, lenire i vostri dolori e tranquillizzare le vostre coscienze…”.
Così fu in realtà. Il Servo di Dio continuò senza sosta nelle missioni, in particolare nella Fattoria di Guayacàn e presso le Religiose del Buon Pastore de La Serena. Ormai presentiva prossima la fine. A più di una persona disse che: “andava a morire da buon soldato sul campo di battaglia”. “Diverse volte mi confidò che sarebbe morto in un ospedale -dichiara un testimone al Processo-. E al suo compagno di missione, P. Anselmo Santisteban, nel congedarsi per la sua nuova destinazione: “Addio. P. Anselmo. Da Coquimbo al cielo”.
Il martedì 12 aprile 1904 s’imbarcava sulla nave Pizarro assieme al P. Medina. Giunsero a Huasco il giorno seguente dove celebrarono la S. Messa. Di notte scesero a Caldera e da lì passarono a Copiapò. Predicarono missioni a Chañarcillo, a Los Loros e a S. Antonio. Dopo un lungo e sofferto viaggio per recarsi a Cerro Bianco, il 2 maggio cominciarono una quarta missione. AI P. Mariano dettero un cavallo, a sua insaputa, ombroso che, a metà cammino, lo scaraventò a terra senza apparenti conseguenze. Forse questa caduta fu la causa del malore sopraggiuntogli due giorni più tardi. Il 4 maggio 1904, dopo aver predicato al mattino sulla devozione a S. Giuseppe e la sera sul Rosario, dovette mettersi a letto. Qualcuno immagina un raffreddore del giorno precedente avuto nell’andare di casa in casa ad invitare alla missione. Il 5 si alzò per celebrare. In Chiesa, mentre con grande fervore pregava assieme ai fedeli durante la Messa del P. Medina, fu colto da un forte attacco stramazzando sull’inginocchiatoio. Venne subito trasportato nella casa dov’era ospite. Febbre alta, fuori dai sensi. Mancava il medico. Lo assistette il farmacista. Ritornato in sé, non permise si interrompesse la missione. Aggravandosi il male si dovette trasportarlo a Carrizal Alto. Chiese il Viatico e l’Unzione degli Infermi. In mancanza di carrozze, non era possibile portarlo a cavallo. Prepararono, perciò, un carro il più comodo possibile. Commovente fu l’uscita dal paese. Mentre lentamente il carro si moveva, la gente d’attorno piangeva, gli baciava il Crocifisso, le mani, indirizzandogli parole frammezzate da saluti, e il P. Mariano tutti benediceva. La popolazione che lo stimava santo, rimase profondamente impressionata nell’apprendere questo particolare: al togliergli le vesti per metterlo a letto dopo l’attacco, gli trovarono addosso un grande cilizio tutt’attorno al corpo e cosi penetrato nella carne da costar fatica per strapparglielo.
Dalla stazione di Yerba Buena lo condussero in treno fino a Carrizal Alto, paese minerario di duemila abitanti, dove. il Padre predicò varie missioni. Giunto all’ospedale in cui aveva confortato tanti ammalati, esclamò: “Dio sia benedetto! Sono arrivato a casa mia. Tutta la vita ho chiesto al Signore la grazia di morire in un ospedale, e adesso la ottengo”. Il medico diagnosticò: polmonite. Il P. Mariano lo ringraziò cordialmente dei servizi prestatigli. Poi soggiunse: “Tutto ciò che lei fa per me è inutile: devo morire. Attendo dal Signore la gloria”. AI Vespro dell’Ascensione ricevette di nuovo il Viatico e l’Estrema Unzione. Non cessava di raccomandare la preghiera, il S. Rosario e la giaculatoria: “Dolce Cuore di Maria, siate la salvezza mia”. Ricevuta la Benedizione Papale, rimise la sua anima nelle mani di Dio all’una del mattino del sabato 14 maggio 1904. Aveva 60 anni e 28 giorni. Si celebrarono solenni funerali con la partecipazione di tutto il paese. Nell’umile cimitero venne posto in una tomba prestata. Dappertutto corse di bocca in bocca il medesimo commento: “È morto il Santo P. Mariano”. Sul feretro: 14 corone di fiori. Commoventi le parole del Parroco di Carrizal Alto, raccolte dalla stampa: “Non ci fu carcere né ospedale ch’egli non visitasse. Nel Cile forse non esiste un altro religioso che conosca meglio di lui il povero e l’infelice. Percorse il nostro suolo da Aracaunia a Tarapacà, compiendo la sua santa missione di insegnare i buoni costumi e il retto vivere a quasi tutti gli abitanti di questa nazione. La potentissima sua voce era di consolazione a quanti ebbero la fortuna di ascoltarlo”.
Dieci anni più tardi le sue spoglie furono trasferite nella Chiesa dei Clarettiani a La Serena, la Chiesa di tanti suoi anni di fatiche apostoliche.
Una semplice lastra di marmo bianco recava l’epitaffio:
“Al Servo di Dio R. P. Mariano Avellana C.M.F., Missionario santo, Piissimo con Dio, Austero con sé stesso, Caritatevole con i poveri, Apostolo instancabile delle anime. morto a Carrizal Alto il 14 maggio 1904, i Missionari suoi Fratelli e i suoi innumerevoli devoti, dedicano questo ricordo”.
Nel 1919 a La Serena ebbe inizio il Processo Ordinario sulla fama, virtù e miracoli del Servo di Dio. Altri tre Processi addizionali a Santiago del Cile, a Rosario di Santa Fe e nella Diocesi natale di Huesca, completarono il materiale informativo. Paolo VI il 7 gennaio 1972 decretò l’introduzione della Causa. I suoi resti furono portati recentemente nella Basilica del Cuore di Maria a Santiago del Cile, dove il P. Mariano tanti anni esercitò l’apostolato.
Non si contano i devoti favoriti da grazie speciali ottenute invocando la potente intercessione del santo Padre Mariano. (Autore: P. Federico Gutiérrez)
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Chi desidera comunicare grazie ricevute per intercessione del Servo di Dio, può rivolgersi a qualsiasi Casa dei Missionari Clarettiani, specialmente alla seguente direzione:
- Postulatore Generale – Missionari Clarettiani.
Via del Sacro Cuore di Maria 5
00197 R O M A