Oggi celebriamo la memoria liturgica del Beato Filippo di Jesús Munárriz Azcona, sacerdote, e dei suoi compagni, religiosi e martiri. Come sappiamo, questa memoria obbligatoria ricorda tutti insieme i 184 martiri clarettiani che sono stati beatificati finora. Ricordiamo quindi, seguendo l’ordine cronologico delle beatificazioni, i 51 martiri di Barbastro (25 ottobre 1992), P. Andrés Solá Molist (20 novembre 2005), i 23 martiri beatificati a Tarragona (13 ottobre 2013), e i 109 beati a Barcellona (22 ottobre 2017). Insieme a loro, celebriamo anche la memoria della Beata María Patrocinio Giner, suora missionaria clarettiana, martire (beatificata l’11 marzo 2001).
Ricordiamo anche tutti quei nostri fratelli e sorelle il cui martirio è avvenuto durante la guerra civile spagnola (1936-1939) e che per vari motivi non sono stati riconosciuti fino ad oggi. Senza dimenticare altri due così noti tra noi come il P. Francisco Crusats, primo martire della Congregazione (1868), che suscitò l’ammirazione e la santa invidia del Padre Claret, e il P. Rhoel Gallardo, filippino (2000), il cui processo di beatificazione è stato recentemente aperto.
La ragione principale della scelta del 1° febbraio come data del memoriale è stata quella di far coincidere la memoria dei Beati Martiri con la data dell’attentato che Claret subì a Holguín (Cuba) il 1° febbraio 1856. Anche se il nostro Fondatore non è morto martire, come desiderava, la sua spiritualità missionaria è permeata dal desiderio di configurarsi con il Cristo che soffre e muore per amore. Per questo, lo spargimento del suo sangue a Holguín ebbe un grande significato per lui: “Non posso spiegare il piacere, la gioia e la felicità che provò la mia anima, vedendo che avevo raggiunto ciò che avevo tanto desiderato, cioè versare il sangue per amore di Gesù e Maria e poter sigillare con il sangue delle mie vene le verità del Vangelo” (Aut. 577).
La celebrazione liturgica della memoria dei Martiri Clarettiani, dopo la celebrazione del XXVI Capitolo Generale, ci invita ad accogliere in modo speciale le prime parole dell’esortazione post-capitolare: “Amata Congregazione, radicati in Cristo e sii audace nella missione” (QC 1). La vita dei nostri confratelli è una bella e impegnativa testimonianza di radicamento e di audacia. Non avrebbero potuto dare la loro vita con la libertà e il coraggio che hanno avuto se non fossero stati profondamente uniti al Signore.
Nel disegno della seconda parte del sogno che Dio ha ispirato alla Congregazione durante l’ultimo Capitolo Generale, si dice: “Ispirata dalla testimonianza del nostro Fondatore e dei martiri, la Parola di Dio, di cui siamo uditori e servitori (cfr. CC 34, 46), è la luce e il motore della nostra vita missionaria” (QC 52, a). Sia la vita del nostro Padre Fondatore che quella dei nostri Martiri ci rimandano immediatamente alla Parola di Dio come la fonte da cui traevano il loro nutrimento. In essa hanno trovato la luce che li ha attirati a vivere radicati in Cristo e li ha liberati dall’idolatria di amare di più la propria vita. In essa hanno trovato la luce che ha chiarito i loro dubbi e le loro paure fino a mostrare loro che la loro fragilità era lo spazio in cui potevano accogliere la forza di Dio. Allo stesso tempo, la Parola è stata la forza motrice che li ha lanciati ad essere coraggiosi testimoni del Signore. Non hanno cercato giustificazioni per sfuggire alle difficili circostanze che hanno dovuto vivere; al contrario, in mezzo ad esse, hanno scoperto che non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici, come ha fatto il Signore. I nostri fratelli martiri ci ricordano che nessuna circostanza può giustificare la vigliaccheria o la mediocrità; al contrario, quando viviamo una vita centrata su Dio, usciamo inevitabilmente da noi stessi verso le periferie che hanno più bisogno della luce del Vangelo.
Il titolo del documento post-capitolo ci ricorda il profondo amore che i nostri martiri avevano per la nostra Congregazione. Il documento inizia con le famose parole con cui uno dei Beati Martiri di Barbastro, già vicino alla morte, si rivolgeva amorevolmente alla Congregazione: “Amata Congregazione”. Per tutti loro, non si tratta di una fredda istituzione religiosa; piuttosto, la consideravano la loro “madre amata”, dove avevano imparato a conoscere e seguire Gesù nello stile di Claret. Si sentivano parte di una famiglia che li amava e che loro amavano intensamente. È commovente sentire questo modo affettuoso di riferirsi alla Congregazione. Allo stesso tempo, queste parole diventano un’interpellanza che ci interroga su come stiamo vivendo oggi il nostro senso di appartenenza congregazionale: Considero i fratelli che Dio mi ha dato come la mia “amata congregazione”? Che tipo di relazione fraterna ho con questi fratelli di carisma e di missione? La mia comunità reale e concreta è uno spazio “amato” che curo e coltivo? I nostri martiri ci incoraggiano a vivere questa fraternità centrata su Cristo e sulla missione.
Affidiamo tutta la Congregazione all’intercessione dei Beati Martiri Clarettiani perché continuiamo ad abbracciare il sogno di Dio e ci impegniamo a realizzarlo fedelmente.
P. CARLOS SANCHEZ MIRANDA, CMF
Prefetto Generale di Spiritualità e Vita Comunitaria
LITURGIA – http://www.itercmf.org/claretian-feast-days/memoria-of-the-blessed-claretian-martyrs/
MESSA E LETTURE – http://www.itercmf.org/claretian-feast-days/memoria-of-the-blessed-claretian-martyrs/