4. Profetica e contemplativa

“Io effonderà il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie (Gioele 3,1).

“L’unzione dello Spirito Santo, con cui siamo stati unti per evangelizzare i poveri, è una partecipazione alla pienezza di Cristo. Per questo motivo noi che siamo stati chiamati alla sequela di Cristo e a collaborare con lui nell’opera affidatagli dal Padre, ripieni del suo Spirito, dobbiamo assiduamente contemplare e imitare Cristo, così da non essere più noi stessi che viviamo, ma Cristo viva realmente in noi. Solo in questo modo saremo validi strumenti del Signore per annunziare il Regno dei cieli” (Costituzioni, 39.

 

Introduzione

Il XXII Capitolo Generale fermò il suo discernimento sulla dimensione profetica del nostro servizio missionario della Parola. In questo modo, manifestò la sua intenzionalità di applicare alla Congregazione una delle prospettive più feconde dell’Esortazione Apostolica Vita Consecrata, frutto del Sinodo universale dei Vescovi del 1994: La testimonianza profetica (1).

Similmente, il nostro XXIV Capitolo Generale mise una speciale enfasi sulla dimensione della comunità, fino ad allora poco messa in risalto: “Adoratori di Dio in Spirito”. L’adorazione è la proposta è la risposta alla contemplazione degli “occhi aperti”, “dei cieli e la terra che sono pieni della gloria di Dio”.

Guidati da queste due proposte capitolari, vogliamo addentrarci nel mistero della nostra comunità missionaria, nella prospettiva del profetismo e della contemplazione e adorazione. Lo facciamo con quest’ordine per non cadere nel “contemplata aliis tradere” (offrire agli altri ciò che si è contemplato), ma piuttosto nella visione unitaria del contemplativus in missione” (contemplativi nella missione). Per questo, il titolo di questo capitolo: Comunità profetica e contemplativa.

 

1. Comunità profetiche

Tutte le forme di vita nella Chiesa sono chiamate profetiche. Lo disse molto bene Mosè quando espresse un desiderio molto profondo ed esclamò: “Magari fossero tutti profeti in Israele” (2). La vita consacrata è chiamata a potenziare – in modo umile –la dimensione profetica e luminosa di tutta la Chiesa.

Parlare di “profezia” della vita consacrata suscita timori. Simo eredi di grandi tradizioni profetiche. Ma chi di noi si sente – in mondo spontaneo – un “profeta?”. Quale comunità chiama sé stessa “comunità profetica?”.

Non ci costa, tuttavia, riconoscere che vi sono tea di noi persone profetiche, azioni e iniziative profetiche, e che siamo eredi di una tradizione profetica congregazionista, che ammiriamo: il nostro Padre Fondatore (3), i nostri primi missionari, che estesero la missione in luoghi lontani, in altre culture, con pochi mezzi e a rischio della salute (4); senza dire del profetismo di tanti martiri figli del Cuore Immacolato di Maria… (5). Evochiamo anche la testimonianza profetica di quanti abbiamo denominato “profezia della vita ordinaria” e che abbiamo scoperto nei tratti profetici di non pochi nostri fratelli (6).

Parlare tuttavia di comunità profetiche risulta a noi più rischioso, anche se capiamo che questa chiamata di Dio per noi in questo tempo, e nei contesti in cui si sviluppa la nostra vita. Il Concilio Vaticano II diede contenuto a questo presentando la vita religiosa come segno che manifesta, testimonia, prefigura, proclama, mostra (7). L’esortazione apostolica “Vita Consecrata” è stato il documento ecclesiale che ha sviluppato più ampiamente la dimensione profetica, specie nella terza parte dove presenta la Vita Consacrata come “Servitium Caritatis” (8). J.R.M Tillard disse con chiarezza che la vita consacrata “potenzia l’ala profetica della Chiesa”.

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Per questo, ci domandiamo se le nostre comunità potenziano l’ala profetica della Chiesa particolare nel contesto nel quale noi ci troviamo.

Un dato molto interessante è che la nostra Congregazione non vuole scoprire oggi il suo potenziale profetico, come monopolio esclusivo, ma come “profezia condivisa” fra tutti quelli che formano la comunità e con molte altre persone e comunità, dentro e fuori la Chiesa, e in primo luogo la “famiglia carismatica”. Per questo, ci sentiamo anche chiamati a solidarizzare e a fare da mecenati ad altri movimenti profetici, apportando la nostra peculiarità profetica “clarettiana”.

La profezia comunitaria sarà possibile se siamo molto attenti ai segni dei tempi, ai segni dello Spirito nel luogo e nel momento storico nel quale ci troviamo e che ci chiede uno stile e un’azione profetica.

2. Stile profetico e azione profetica in comunità

Ci sentiamo chiamati – come congregazione e comunità di missionari clarettiani – ad esprimere il nostro dono profetico- in diverse tonalità: 1) La profezia dell’ospitalità o abbracciare la differenza; 2) la profezia del senso della vita; 3) la profezia dell’impoverimento volontario; 4) la profezia del realismo; 4) la profezia della gioia in comunità; 6) la profezia della sapienza e dell’immaginazione profetica.

  • La profezia dell’ospitalità e dell’inculturalità comunitaria: abbracciare la differenza

L’ospitalità ci rende servitori dell’Alleanza di Dio con la nostra terra e tutti i popoli che la abitano. Senza ospitalità le nostre comunità diventano autoreferenziali, talvolta ostili e anche violente dinanzi ai diversi. L’esclusione va diventano il peccato primordiale dei processi di gobalizzazione. L’ospitalità, tuttavia, ci fa accogliere l’«altro», il diverso, l’estraneo. Oggi, essa è considerata come un’autentica categoria teologica (9): la sua massima espressione si manifestò quando il Figlio di Dio crocifisso aprì le sue braccia per accoglierci, senza esclusioni, mentre eravamo ancora peccatori e infedeli alla sua Alleanza. Nella nostra congregazione l’ospitalità è missionaria e ci porta ad avvicinare e ad accogliere l’altro: bisognoso, emarginato, escluso, violentato, chi appartiene ad un’altra cultura, a un’altra religione, ad un’altra razza, a un altro genere. L’ospitalità in direzione dell’altro ci rende più compassionevoli, meno istituzionali, più liminali. Per questo, abbiamo creato spazi istituzionali per la missione condivisa con i laici, l’inserimento culturale, l’inserimento culturale, le comunità inserite fra le povertà; ci stiamo aprendo alla diversità di genere (10).

  • La profezia del senso della vita

Se prima la domanda era come vivere dinanzi a Dio, adesso la domanda è senz’altro come vivere. La sconnessione con Dio rende banale ogni altra cosa. La modernità ha desacralizzato il mondo ed ha idolatrato le realtà che aveva desacralizzato. Per molte persone la scienza è oggi la teologia” che spiega tutto; l’economia è il dio che tutto risolve: la gente adora il danaro, la scienza. I nuovi dei, però, sono infedeli: non accompagnano sempre l’essere umano; lo abbandonano nella disperazione quando arriva la difficoltà, la malattia, la morte. Nella vita consacrata, proclamiamo che “gli dei e i signori della terra, non ci soddisfano” (11). Ci ribelliamo profeticamente contro l’idolatria del danaro, del sesso e del potere grazie ai nostri voti. Attraverso la nostra voce e la nostra condotta dissidenti tentiamo di essere profeti del senso della vita. Dove c’è speranza trascendete, là c’è senso.

  • La profezia dell’impoverimento volontario

Smaschera la miseria della proprietà (12). Coloro che cercano soltanto la prosperità economica lo fano a costo della loro salute, cultura, educazione e arricchimento morale. L’idolo della nuova economia è indecente perché i ricchi non hanno più bisogno dei poveri per arricchire: dopo la disgrazia dell’esplosione dei poveri, è giunta la disgrazia, certo peggiore del fatto che hanno smesso di essere sfruttati: sono scartati. Si suppone che il danaro ci libera dalle nostre preoccupazioni; senza però rendercene conto si trasforma nella nostra più grande preoccupazione. Per avere danaro bisogna pagare un alto prezzo, tale che ci rende miserabili. Chi potrà liberare l’essere umano dall’economia? In questo contesto l’impoverimento volontario ci chiede la spoliazione di alcune cose, la rinuncia alla comodità, all’accumulazione di oggetti e danaro per superare l’angoscia della morte. Anche nell’ambito della missione l’economia deve essere chiaramente de-idolatrata per diventare soltanto un mezzo. L’immaginazione profetica darà spazio a nuovi gesti di gratitudine, di fede nella provvidenza, di presenza missionaria non mercantile, di servizi non focalizzati al guadagno.

  • La profezia del realismo

Senza realismo, la nostra vita diventa ansiosa e facile alla depressione. Senza realismo le utopie, le visioni perdono la loro capacità trasformatrice e si diventa spettacolari, ma non capaci di dinamizzare. Abbiamo bisogno di “realismo cristiano” (13), o realismo profetico. Il principio di realtà ci chiede da una parte che non desideriamo cose che eccedano la nostra capacità carismatica (il talento ricevuto), ma anche dall’altra che mettiamo a frutto tutte le sue possibilità. Nelle nostre comunità non disponiamo di carismi spettacolari né di profezie di altra intensità. Siamo gruppi di pellegrini che fra preoccupazioni, oscurità e tentazioni, pellegriniamo – con tutto il popolo di Dio – in direzione della nuova Gerusalemme. L’essere comunità limita non poco i limiti dei carismi e delle profezie individuali. Nel nostro profetismo collettivo si integra il diverso. Per questo la nostra profezia è di bassa intensità, ma esercitata anche in una frangia temporale molto estesa. In questo modello profetico prevale il realismo sull’utopia, il giorno dopo giorno sull’evento, la quotidianità sulla sorpresa, il secolo sul momento. Nella nostra congregazione l’abbiamo chiamata “profezia della vita ordinaria” (14). L’immaginazione profetica e il realismo profetico mantengono una permanente tensione e contrasto. Il Cristo delle tre tentazioni nel deserto è per noi il paradigma del profetismo realista. Il Cristo apocalittico che piange dinanzi a Gerusalemme è per noi il paradigma di un profetismo utopico. Entrambi i due tipi di profetismo, quello realista e quello apocalittico, nel corso della storia hanno convissuto.

  • Gioia profetica

La nostra cultura post-moderna e globalizzata cerca ossessivamente la felicità. La si confonde col piacere e si pretende di conseguirla attraverso il consumo, il rifiuto, lo sfruttamento, la sessualità. Salute e sessualità sono diventate ossessioni ogni volta più predominanti. Chi non è all’altezza della propria corporeità e sessualità culturali non ha nulla da fare (15). E’ più grande il desiderio della felicità che la sua realizzazione. Tutto ciò che non è piacere è considerato infelicità. E’ chiaro che tale cultura influenza i consacrati. Nela nostra tradizione ascetica, però, abbiamo risorse che ci permettono di coltivare la nostra profezia contro-cuturale. Conosciamo l’arte di tenere a bada la disgrazia, in modo che non ci domini. Sappiamo che non ogni avversità è un castigo, che nessuna cosa può essere conseguita senza fatica. Sappiamo che possiamo vivere con la sofferenza e contro di essa. Molti nostri fratelli mostrano un volto felice e beato, perché in essi albergano le beatitudini di Gesù. Tanto più fascinosa risulta la vita consacrata in quanto mantiene la speranza, il buon umore, la gioia di fra i drammi del mondo personale, quando mantiene una “euforia permanente”. Questo non toglie nulla al fatto che riconosciamo, per realismo profetico, che questa dimensione della profezia è mediata dalla profezia delle lacrime (16). Il vivere alternativo che la vita consacrata propone comporta il passaggio simbolico del Getsemani, per il giudizio religioso e politico, per il disprezzo popolare o la salita e condanna del Calvario. Anche noi come Gesù dobbiamo piangere le nostre perdite e dinanzi al dramma delle culture che chiudono le loro porte sentendo parlare di Dio. La beatitudine profetica crede che “sono beati coloro che piangono” perché Dio seccherà le lacrime nei loro occhi. Per questo, il piangere può diventare sorriso, e speranza, nonostante tutto.

  • La Sapienza e l’immaginazione profetica

Si sente sempre più la nostalgia di uomini e di donne “saggi” capaci di orientare l’umanità in momenti di confusione, di caos e di cambiamenti. La sapienza è un dono dello Spirito, che collega e unisce le nostre conoscenze, i sentimenti, le esperienze vissute. Il dono della sapienza collega e integra le tre tappe del tempo: il passato, il presente e il futuro. La profezia biblica ha molto a che vedere col dono della Sapienza. La sapienza è connessa ad alcune persone per illuminare e guidare l’umanità, la chiesa. La persona gratificata da questo dono non solo ha capacità di informazione su ciò che accade, ma penetra addirittura nel mistero della realtà e le è concesso di “aprire il libro e sciogliere i suoi legacci; utilizza i “sette occhi” dello Spirito per percepire la realtà e la storia; le è concesso la sensibilità di Dio. Per questo, la persona sapiente è solidamente fondata e serve di appoggio e di guida agli altri. E’ una guida che vede, che sente, che riflette in se stesa la sapienza di Dio. La sapienza è trans-culturale. I saggi sono persone che rivalorizzano le culture, le aprono a nuovi orizzonti, e danno loro solidità. La sapienza è la migliore mediazione per rendere possibile il dialogo interculturale e l’alleanza delle civiltà. Per questo, nei nostri tempi di trasformazione, di intercomunicazione, di mutua dipendenza, la sapienza è un dono senza prezzo. La sapienza profetica è un dono necessario per superare le visioni fondamentaliste, i dogmatismi, le attitudini di condanna dinanzi al “diverso”. Il dono della sapienza vede alternative là dove apparentemente si entra in vicoli senza uscite; scopre l vita dove prevale la morte. La sapienza è serena, immaginativa, creatrice; rende possibile l’imprevedibile, facile il difficile, percorribile l’impercorribile. Gesù fu la sapienza di Dio che proclamava: “Imparate da me… Il mio giogo è leggero e il mio carico soave”.

Viviamo tempi nei quali le nostre comunità possono potenziare l’ala profetica della Chiesa, proprio nell’ambito della sapienza. Il fatto che nelle zone più antiche della Congregazione stiamo invecchiando, non è una disgrazia, ma l’opportunità di versare il dono della sapienza su popolo di Dio, sulla società. La profezia e la sapienza ci porterà a scoprire il possibile dono della paternità spirituale che ci è concesso. Si realizzerà così quanto è stato detto, che “i vostri anziani e anziane profetizzeranno”. E’ la profezia della sapienza.

Proprio la profezia osa navigare controcorrente nella marea della liberalità e dei convenzionalismi. Questo osare nasce da un cambio di visione, di pensiero; nasce dalla grazia di un’autentica “meta-noia”. Chi ha ricevuto la grazia di un tal cambiamento, di una tale esperienza, diventa qualcosa come una bomba, come un scoppio all’interno di un gruppo organizzato. Il ministero profetico di cui oggi abbiamo bisogno deve nascere come una nuova coscienza lineare, integrante, relazione.

Lo stile profetico comunitario ci dona energie per essere attenti alle sfide del nostro tempo, dei nostri luoghi e dar loro risposta profetica. L’ultimo Capitolo Generale propose i seguenti interrogativi: 1) il grido della madre terra; 2 il grido dei poveri, per la giustizia; 3) Il sogno della pace e della riconciliazione; 4) il senso della vita e la sua difesa; 5) il nuovo continente digitale e tecnologico.

 

3. Comunità Contemplativa

La contemplazione è un tipo di preghiera, ma è anche un modo di essere e di agire della comunità “in missione” (17). Contemplare non significa chiudere gli occhi, guardarsi dentro, immaginare problemi trascendenti che hanno poco a vedere con i problemi che preoccupano l’umanità. E “se Dio amò tanto il mondo da mandare il suo Figlio unigenito” come potremmo arrivare alla contemplazione sconnessi da questo mondo? La “mistica degli occhi aperti” (J. B. Metz) ci dice che non si trova Dio “scavando fossi nell’anima” (Erich Przywara), né allontanandoci o liberandoci del mondo reale, ma passando ad un altro livello di percezione. Ma come farlo?

La posizione contemplativa è quella che ci apre all’ambiguità, al paradosso, allo sconosciuto; c separa da un insieme di modi pre-concepiti di essere e di pensare. Entrare in contatto col nostro Dio, seguire Gesù ed essere aperti allo Spirito è fare uno dei lavori interiori più difficili, ma essenziali. Ci porta ad amare il mondo come Dio lo ama.

Cercare seriamente Dio nel nostro mondo reale è un’avventura esigete e pericolosa: significa esporsi a Dio in una realtà umana che tante volte lo mette in discussione o lo nega; perché Dio è messo in discussione e negato dove è ingiustizia, violenza, selvatichezza, morte, catastrofi naturali, malattia, depressione… Dietrich Bonhoeffer cercò Dio in tali circostanze – nl capo di concentramento e nel contesto della guerra mondiale – e lo trovò nella sofferenza; per questo, disse a se stesso: “può salvarmi slo un Dio che soffre”. Esperienza contemplativa e mistica fu anche quella di Etty Hillesum, nell’ultima fase della sua istanza nel campo di sterminio di Auszchwitz, che le permise di scriver nel suo diario: “E se Dio non mi aiuta per andare avanti, io debbo aiutare Dio” (18).

La nostra vita consacrata è contemplativa quando scopre Dio – intristito, sofferente, emarginato, scartato – nelle vittime; quando identificata col Crocifisso grida “Dio mio, Dio mio, perché mi hi abbandonato?”; è contemplativa quando scopre ovunque l’energia divina, intorno a noi e attraverso ogni cosa: come una dinamica personale che si manifesta nella reciprocità, nella creatività, nell’inclusione, nell’ospitalità. La sua energia s’incarna in noi. Tutto è come un pezzo del mistero di come Dio stia fin dall’eternità facendo nascere: perché è “padre eterno- madre eterna”. L’energia di Dio attua sempre a favore della creazione (19). Vive contemplativamente chi si sente fondato in Dio, incorporato a Gesù Cristo, chi lascia che lo Spirito Santo respiri e si muova attraverso di lui o di lei. Il desiderio di vivere più contemplativamente in questo tempo è opera dello Spirito.

La contemplazione apre il nostro cuore all’ascolto degli “altri” in verità, senza focalizzarci in quello che vorremo udire o ricevere da essi. Nello spazio contemplativo, perdiamo il controllo dell’altro e scopriamo che non sempre abbiamo noi la risposta migliore a ciò che ci sfida. Quando diventiamo più contemplativi ci rendiamo più facilmente conto delle differenze e siamo più in grado di accettarle, senza etichettarle negativamente. Uno impara a “negare sé stesso” (20), che è condizione indispensabile per seguire Gesù.

Viviamo così di corsa, con tanta frenesia, da negare la contemplazione per mancanza di tempo personale e collettivo. La contemplazione ha bisogno di tempo e noi non l’abbiamo! Di norma, dinanzi alle situazioni “reagiamo”, ma “non rispondiamo” perché diciamo di non aver tempo. Non entriamo in spazi di contemplazione perché abbiamo paura di restare paralizzati, senza attività, senza amore al lavoro. Nonostante, però, è certo che l’autentica contemplazione è fonte di capacità creativa e generativa. I mistici, i contemplativi sanno che la vera contemplazione si risolve nell’azione e che molto spesso l’azione è più radicale perché radica in essa.

L’atmosfera contemplativa fa nascere riunioni “differenti”, durante le quali v’è pausa, quietudine, e non necessità immediata di parlare, di prendere il microfono; mai però passività, disimpegno, inquietudine. Contemplazione non significa tacere, chiusi nei nostri pensieri; significa lasciarsi afferrare dallo Spirito, lasciare che si espanda nel nostro cuore e lo trasformi (21). La qual cosa richiede una certa disciplina. V’è sinergia quando dimentichiamo noi stessi e ascoltiamo gli altri attentamente e con amore.

Nei testi paolini leggiamo esortazioni come questa: “Non rattristate lo Spirito Santo” (22), “non soffocate né estinguete lo Spirito Santo” (23); ciò significa che possiamo impedire che lo Spirito respiri e soffi attraverso ciascuno di noi. La Chiesa è la sfera d’influenza dello Spirito Santo: “dov’è lo Spirto là è la Chiesa; e dove sta la Chiesa là è lo Spirito” (Sant’Ireneo).

La tanto conosciuta espressione di Karl Rhaner relativamente al cristiano del XXI secolo “o sarà un mistico o non sarà niente”, applicata alla nostra comunità è un invito ad avviare il viaggio verso la mistica perché la nostra vita abbia senso ed attrattiva.

 

4. Comunità liturgica – Quando la contemplazione muta in adorazione

Non dobbiamo dimenticare che una delle caratteristiche fondamentali della comunità missionaria e la sua condizione “contemplativa e liturgica” (24). E’ molto importante al fine di essere comunità inserita nella “Missio Dei”, conoscere Dio, contemplarlo in silenzio, adorarlo e celebrare la sua presenza, cercare appassionatamente la sua volontà:

 

“Fermatevi e sappiate che io sono Dio, eccelso fra le genti, eccelso sulla terra” (Salmo 46, 11).

 

La “missio Dei” che definisce il nostro stile missionario e comunitario deve diventare il grande centro della nostra contemplazione. U a liturgia configurata dalla “missio Dei” nutre ed invia la comunità “missionale”: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi” (25).

 

Pensiamo talvolta che la cosa più importante nella liturgia è di renderla attrattiva, che corrisponda ai gusti della gente. La liturgia non deve essere manipolata in questo senso.

Non è teatro, né una passerella di personaggi che guadagna la gente con le sue capacità o con le sue arti. Si tratta di una liturgia nella quale lo Spirito crea visoni alternative, racconta il volere di Dio sul nostro mondo e sulla nostra storia concreta (26).

 

Una liturgia configurata dalla missione –e ci riferiamo all’Eucaristia, ma anche alla liturgia delle ore, alla celebrazione comunitaria della penitenza, alla celebrazione della preghiera e unzione delle nostre infermità psichiche e fisiche, in situazioni che ci risultino invincibili – è quella nella quale la comunità è alo stesso tempo passiva e attiva, come la comunità del libro dell’Apocalisse. La comunità in stato di liturgia è assemblea di cristiani in missione con Dio, complici dello Spirito Santo, che incarnano il Vangelo di Cristo Gesù (27), L’ite Missa est non deve essere una formula abitudinaria, ma il mandato comunitario che decide la comunità.

 

La liturgia ecclesiale è per la nostra comunità l’eco-sistema spirituale-profetico e contemplativo, in cui essa si integra giorno dopo giorno. L’anno liturgico, con tutti i suoi colori e le sue prospettive, è un autentico cammino di spiritualità che percorriamo comunitariamente insieme a tutto il popolo di Dio. La comunità liturgica non si isola né si separa dalla storia. In ogni momento liturgico la comunità si sente collegata dallo Spirito Santo che converte i doni in copro e sangue di Gesù e ce lo offre in comunione come cibo e bevanda:

“Santifica questi doni con l’effusione dello Spirito perché siano per noi il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo nostro Signore” (Preghiera Eucaristica II, Epiclisi).

Lo Spirito è colui che fa anche la “Parola” che ascoltiamo all’esterno penetri nel più profondo del nostro cuore e ci trasformi. E’ lo Spirito il principale generatore della comunione comunitaria (Preghiera Eucaristica II, Epiclisi).

Ti chiediamo umilmente, lo Spirito Santo raccolga in unità quanti partecipiamo del Corpo e Sangue di Cristo

 

Per la riflessione personale e comunitaria

1. Quali tratti della profezia sono più presenti nella nostra comunità e quali ci mancano?

2. Come capiamo e come si manifesta in noi la dimensione contemplativa della nostra vita?

3. Che significato ha nella nostra comunità la liturgia in tutte le sue espressioni – liturgia delle ore, celebrazione eucaristica, celebrazione della penitenza, ed eventualmente celebrazione della Preghiera e dell’Unzione degli infermi? Commentiamo.

4. Preghiamo insieme il poema del Profeta. Solista e coro.

 

Note

1) Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Vita Consecrata, 84-95: Missionari Clarettiani, Dichiarazione del Capitolo Generale: In Missione profetica” (Roma 1997), n. 1, p. 8.

2) Num 11, 25.

3) “Il nostro Padre Fondatore si sentì unto dallo Spirito di Gesù. Trovò stimoli per la sua vocazione missionaria nei profeti, ma, soprattutto, in Gesù, profeta semplice e attrattivo, vicino al popolo, ma anche segno di contraddizione, perseguitato sino a morire in croce. Fu concessa al Claret una forte sensibilità dinanzi ai mali del suo tempo. Egli fondò la nostra Congregazione e ci trasmise “nella forma del Missionario” come prolungare il carisma profeticamente” (EMP, n. 17).

4) Durate i quasi 150 di esistenza, la nostra Congregazione ha approfondito sul tema del carisma clarettiano e sulla sua dimensione profetica… I nostri fratelli si fecero presenti in luoghi di missione che altri consideravano di impossibile accesso a causa delle difficoltà che presentavano (Guinea Equatoriale, Chocò…” (EMP, n. 18).

5) “Vi furono di quelli che diedero la loro vita per Gesù e i fratelli senza tirarsi indietro… La chiesa ci ha proposto come esempio profetico i Martiri di Barbastro” (Emp, 18).

6) “Molti assunsero uno stile di vita apostolico caratterizzato dalla semplicità, dall’itineranza, dal servizio disinteressato alla Chiesa, dallo spirto comunitario e congregazionista e dall’intercessione missionaria permanente di uomini come p. Clotet e p. Avellana. Lo “stile” del missionario è diventato realtà in molti dei nostri: presbiteri, diaconi, fratelli e studenti” Emp, n. 18.

7) A questo si riferisce il Concilio Vaticano II nella LG 44, quando presenta la professione dei consigli evangelici come “segno” che può e deve attrarre efficacemente tutti i membri della Chiesa a compiere senza mancare i doveri della vita cristiana. E inoltre indica che questa forma di vita ha la missione di imitare e rappresentare nella Chiesa lo stile di vita di Gesù, e di manifestare, di testimoniare, di prefigurare di proclamare e mostrare la vita nuova ed eterna conquistata dalla redenzione, il potere, cioè, del Cristo glorioso. La ragione d’essere della vita religiosa “essere segno” resta esplicitata in sette verbi e azioni. Destinatari di queste azioni sono i membri della Chiesa, tutti i fedeli, tutti gli uomini. Documenti posteriori hanno messo in evidenza la dimensione profetica della vita religiosa: “Nella varietà delle sue forme, la vita fraterna in comune si è sempre manifestata come una radicalizzazione del comune spirito fraterno che unisce tutti i cristiani. La comunità religiosa è palpabile manifestazione della comunione che fonda la Chiesa e, allo stesso tempo, profezia dell’unità cui tende come alla sua ultima meta” Vita fraterna in comunità, n. 10).

8) “La professione dei consigli evangelici è presentata come segno e profezia per la comunità dei fratelli e per il mondo” (VC, 15). V’è anche nell’Esortazione un ampio paragrafo dedicato alla “testimonianza profetica dinanzi alle grandi sfide del nostro tempo” (VC, 84-95).

9) Cf.Hans Boersma, Violence, and the Cross. Reappropriating the atanement tradition, Baker Academic, 2004; Leonardo Boff, “Virtudes para otro mundo posible. La Hospidalidad: derecho y deber de todos, Sal Tierrae, Santander 2006; Luke Brethertonm Tolerance, hospitality and education: a theologcal proposal, in SCE, 17, 1 (204), 80-103. Burne Brendan, The Hospitality of God: A Reading of Luke’s Gospel, Liturgical Press, Collegeville, 2000; Inneraty, D., Etica de la hospidalidad, Penunsula, Barcelona 2001; Pohi Christine, Making Room: Recovering Hospitality as a Christian Tradition, Eerdmans, Grabd Rapids, 1999; Richard, L., Vivir la hospidalidad de Dios, OIUMSA, Buenos Aires, 2000.

10) E’ interessante evocare qui la circolare del P. Mathew Vattamattan, superiore generale, sull’interculturalità e le nostre relazioni comunitarie.

11) Salmo 16.

12) Cf. Pascal Bruckner, La miseria ella prosperità, Tusquets, Barcelna, 2002; L’autore lo pubblicò nel 2002 e meritò il premio “Libro de Economia 2002”. Il titola echeggia la frase “miseria della filosofia” di Karl Marx.

13) Cf. Reinhold Nieburh, Christian realism and political problems, Scribners, New York 1953.

14) “La profezia della vita ordinaria, fra di noi frequente, è ciò che rende possibile la grande profezia dei momenti straordinari. Si manifesta nella preghiera, come espressone di amicizia con Dio, nella ricerca incessante della sua volontà, nelle relazioni in cui si manifesta in primo luogo la tenerezza, la gioia vitale, la compassione, la fiducia nell’altro, il servizio” EMP, n. 24, pp. 37-38.

15) Cf. Pascal Bruckner, La euforìa perpetua (sul dovere di essere felici), Tusquets, Barcelona, 2001. Cf. , La tentación de la inocencia, 1996.

16) Cf A. Arvali, Vita religiosa come profezia? Le lacrime di una difficile transizione incompiuta, in “Credere Oggi” 27 (2007), pp. 131-144.

17) “Contemplando la situazione del mondo, della Chiesa, della nostra Congregazione e delle nostre vite alla luce della Definizione del Missionario, abbiamo sentito la chiamata a scoprire come Gesù cammini al nostro fianco, ad ascoltare la sua parola, a sederci alla sua mensa e, infuocati, a ritornare alla comunità per esserne di nuovo inviati” Missionari Clarettiani, Dichiarazione del XXIV Capitolo Generale “Uomini che ardono in carità”, n. 51, pp. 61-62

18) Etty Hillesum, Diario, 11 luglio 1942.

19) Cf. Anna Hint, What are they saying about the Trinity, Paulist (Australia), 1998.

20) Mt 16, 24.

21) Rom. 5, 5.

22) Ef 4, 30.

23) 1Ts 5, 19.

24) Inculcheremo che ciascuno d noi dia un tempo prioritario alla sua vita di ascolto della Parola, alla celebrazione degna dell’Eucaristia, alla preghiera quotidiana e alla pietà cordimariana. Faremo anche attenzione al ritiro mensile e agli esercizi spirituali e che la comunità faciliti per tutto questo i ritmi e le condizioni necessarie” HAC, n. 54, 1, p. 63.

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Fonte dello spirito profetico

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Without heart, without tenderness, without love, there is no credible prophecy (IPM 20). The prophecy of ordinary life is to live loving the Lord with all one’s heart, soul and strength. These videos explain the words in “Schema Israel”.

Introduction

  1. Comunità configurate per la missione
  2. La Comunità missionaria
  3. La comunità scuola di discepoli in missione
  4. Comunità profetica e contemplativa
  5. Liturgical and Celebratory Community
  6. Walking Forth in the Spirit. Practicing Discernment in Personal Life and in Communities
  7. Leadership and Organization of the Community
  8. Conflict Transformation in Community
  9. Forgiveness and Reconciliation in Community
  10. Celebrating Life and Mission in Intercultural and Intergenerational Communities
  11. The Dream of Being Community
  12. The Paschal Mystery in Our Communities