1. Comunità configurate per la missione

“Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni; ma non permetteva ai demoni di parlare, perché lo conoscevano.

Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni” (Mc 1, 32-37)

“Siamo stati mandati ad annunciare la vita, la morte e la risurrezione del Signore, finché egli venga perché tutti gli uomini, credendo in li, siano salvati. Condividendo le speranze e le gioie, le tristezze e le angosce degli uomini, soprattutto dei poveri, vogliamo offrire la nostra collaborazione a tutti coloro che cercano di attuare la trasformazione del mondo secondo il disegno di Dio” – Costituzioni, 46).

INTRODUZIONE

Si concede ogni tre anni alle nostre comunità missionarie la splendida opportunità di rinascere! Vero è che, date le caratteristiche di ciascuno dei nostri raggruppamenti comunitari, non siamo soliti fare cambiamenti radicali. Vi sono sempre persone più stabili e persone meno stabili.

Di là, però, dalla maggiore o minore mobilità di quanti formiamo la comunità, vero è che l’inizio di un nuovo triennio è per noi un’opportunità: l’opportunità di rinascere come comunità missionaria. In quel nuovo inizio triennale mettiamo a zero il contachilometri. Cerchiamo di superare la legge della consuetudine, dell’«è stato sempre cosi» e di disporci ad una autentica “conversione comunitaria”.

Al fine di favorire questo nuovo inizio comunitario proponiamo una riflessione in quattro passaggi:

 

1) Comunità configurate dalla missione; 2) comunità configurate dal contesto; 3) Comunità in processo di formazione; 4) Dall’ego-sistema all’eco-sistema comunitario.

 

1. Comunità configurate dalla Missione

Fin dal titolo stesso del nostro ultimo documento capitolare si fa riferimento all’identità carismatica cui desideriamo configurarci: Missionarii sumus! Non si tratta di semplice denominazione o di un titolo col quale siamo riconosciuti nel registro civile. “Missionarii sumus” fa riferimento a quel racconto che deve essere il racconto della nostra vita, della nostra esistenza. E siamo missionari con un’identità “in costruzione”. La stessa cosa è necessario sia detta delle nostre comunità missionarie.

Ordinariamente pensiamo che le nostre comunità hanno una missione da realizzare. E che così si costituiscono. Bisogna piuttosto dire che è la Missione ad avere una comunità. Importante non è quello che le nostre comunità fanno “per Dio”, ma quello che Dio vuole fare attraverso la nostra comunità.

MuralJuanjui Peru4Già nel XXIV Capitolo, la Congregazione espresse la sua consapevolezza della missione in termini profondamente teologici: la Missio Dei (1). Vi si diceva qualcosa di rivoluzionario: “dobbiamo restituire a Dio stesso, alla Trinità Santissima il protagonismo della missione (2). Il nostro Dio è missionario. Ci si è rivelato in missione creatrice come Padre e Signore dell’universo, in missione redentrice nel Figlio Gesù Cristo e in missione attuale, contemporanea nello Spirito del Padre e del Figlio che porta alla pienezza la missione divina.

Come principio, non è la Chiesa che possiede una missione, ma è la missione di Dio che possiede la Chiesa, che agisce attraverso la Chiesa. Questa dimensione strumentale e simbolica della Chiesa nella “missione Dei” ovviamente è applicabile alle nostre comunità. La comunità non ha una missione, quella che conta è la Missio Spiritus, che vuole contare in ogni nostra comunità e in ciascuno dei suoi membri.

Cristo risorto fece riferimento a questo quando rispose a Simon Pietro: “Pasci le mie pecorelle”. Non gli disse: le tue pecorelle. Cosa che nel caso nostro potrebbe tradursi così: “la tua scuola, il tuo collegio, i tuoi alunni… E’ questa, dunque, la grande questione: lo Spirito punta sulla nostra comunità per portare avanti la missione che Dio Padre e Cristo risorto le affidano?

E’ talmente importante questo paradigma di missione – sempre antico e sempre nuovo – che l’ultimo Capitolo ne fece il motore della terza part del documento: il motore, cioè, che configura la comunità e la spiritualità. Ecco come lo esprime MS, 65:

“Ci proponiamo di essere, con Gesù, Congregazione “in uscita” (Mc 1,38) … Con la mozione dello Spirito, ci impegniamo a formare, comunità di testimoni e messaggeri; ci preoccupiamo di essere uomini di profonda spiritualità… E accogliamo i processi di trasformazione che lo Spirito ispira. Lo Spirito del nostro Padre e della nostra Madre parlerà attraverso di noi.

E’ stata fra noi cosa frequente parlare di “comunità missionaria” o di “spiritualità missionaria”. In questo modi di parlare, la missione diventa aggettivo e non è – come invece deve essere – un sostantivo. Comunità “in missione” o nella missione dello Spirito. Spiritualità “in missione”. La missione è la fonte che feconda la comunità. La missione dello Spirito è la fonte permanente della spiritualità. La Congregazione vuole vivere questo a partire dal carisma dallo Spirito donato al Claret.

La riscoperta della “Missio Dei” ci porta a riconoscere che non è la comunità ad avere un programma missionario, ma che è Dio, il Dio della missione. Egli conta sulla comunità per realizzare il suo programma missionario. Questa comunità si caratterizza per essere un gruppo umano che è stato scelto da Dio attraverso un avvenimento vocazionale per formare con loro, uomini o donne, una comunità di discepoli-missionari di Gesù, unti dallo Spirito.

La “Missio Dei” è qualcosa di molto più che la singola comunità locale, che è solo uno degli strumenti vivi dei quali Dio si serve per realizzare la sua missione nella storia. Si desidera tanto che in ogni comunità missionaria si veda in qualche riflessa la Trinità missionaria che salva l’essere umano e la creazione instaurando il Regno. Nasce da qui la questione decisiva per identificare una comunità cristiana: “come costituire e formare comunità che collaborino alla “Missio Dei”. Quali processi è necessario avviare perché questo sia possibile?

 

2. Comunità configurate dal contesto

Nella Chiesa-madre di Gerusalemme era apoditticamente affermato il protagonismo di Dio nella costituzione della comunità. “Il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che venivano salvati” (3). Era il Signore che, da protagonista – caratterizzava la comunità come un cuore solo e un’anima sola, e tutto in comune (4)

Le nuove comunità non erano “cloni” della comunità di Gerusalemme. Ciascuna di esse era caratterizzata secondo il contesto: una cosa era la comunità di Antiochia, altra cosa, quella di Efeso, altra quella di Tessalonica, altra ancora quella di Corinto, ecc. (5). Prevalse il modello di Chiesa come oikós, casa familiare, famiglia estesa (6). In appresso, si comincerà a parlare di “par-oikía”, cioè di parrocchia.

Questo significa che ogni comunità deve trovare la sua propria “forma”: deve strutturarsi e configurarsi seguendo il modello ispirato dallo Spirito in ogni momento, in coerenza col contesto.

La comunità emerge, così, come organismo con una grande capacità di adattamento. Per questo non rispondono a questo modello di comunità costanti che impediscono una qualsiasi innovazione, basate sulla ricorrente espressione: “Si è fatto sempre così”, “lo si è già provato altre volte, ma senza risultati”.

La comunità che rinuncia ad anchilosarsi, nella quale non hanno risonanza persone che si arrogano privilegi di anzianità e di proprietà, è una comunità aperta all’innovazione, all’assunzione di uno stile “nuovo”, quello che lo Spirito vuole concederle qui, ora e con queste persone, perché gli sia complice nella sua Missione.

Perché questo sia possibile, la comunità deve essere condotta attraverso un doppio processo: di crescita nelle mutue relazioni fra tutte le persone che la costituiscono – senza escludere nessuno! – e in interazione con l’ambiente specifico – urbano o rurale, culturale, bio-regionale, ecclesiale – nel quale la comunità sia collocata o al quale sia inviata.

Ciò che non deve passare è che magari il contesto interno delle persone cambi e tutto continui come prima, come se non fosse accaduto nulla; o che il contesto cittadino, sociale, ecclesiale, cambi, e la comunità continui ad essere quella di prima. Essere sempre la stessa comunità implica che la legge, le norme passate, i progetti anteriori di comunità s’impongano dinanzi a qualsiasi novità; che quanto “è stabilito” è più importante della concretezza delle persone.

 

3. Comunità in trasformazione

La vita non si ferma. Gli organismi vivi sono sempre in movimento: si evolvono, crescono, cambiano, assumono forme nuove senza perdere l’identità. I processi vitali sono inarrestabili. Quando però il movimento diventa più lento e usale, e al posto della trasformazione s’impone la deformazione, s’iniziano allora processi di morte. Questa costatazione vale anche per la vita dello spirito. Non v’è spiritualità senza processi vitali di trasformazione. Non progredire nella vita spirituale è regredire.

La stessa cosa possiamo dire dei gruppi profetici, ai quali appartengono senza dubbio le nostre comunità. Formiamo “organismi vivi”. La vita non deve arrestarsi nelle nostre comunità, che debbono essere costantemente aperte a processi di trasformazione; viceversa inizierebbero fasi di deterioramento, di deformazione e anche di morte.

Lo ha detto molto chiaramente san Paolo in Rom 12, 2:

“Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”.

Conformarsi al sistema, allo schema del mondo sviato dal progetto di vita che Dio offre, significa disporsi a morire. Paolo supplica i cristiani di Roma che superino il sistema, che rinuncino ad uno stile di vita conforme per assumere una nuova “dimensione”. E questa nuova dimensione inizia con un processo di innovazione nella mente e nella coscienza. O, detto magari con parole del nostro tempo: l’innovazione comincia con una “nuova coscienza”. Partendo da qui è allora possibile scoprire che la Vita ci offre, il futuro che Dio i concede, la volontà di Dio.

Nel nostro ultimo Capitolo generale furono caratterizzati due vie di futuro: il metodo della programmazione o il metodo dei processi di trasformazione. Dopo un lungo discernimento, i capitolari optarono per il secondo. Nonostante, vi sono di quelli che si domandano: “E che accade dei “processi di trasformazione” nell’ambito della missione, la casa, (comunità oiko-nomia), della spiritualità-formazione?

Il processo di trasformazione è un viaggio in direzione del futuro emergente: ciò che cerchiamo e ciò che ci viene concesso. E chiede di imparare tre cose: aprire la mente (trascendere i limiti della nostra conoscenza), aprire il cuore (trascendere i limiti delle nostre relazioni, aprire la volontà (trascendere i limiti della nostra piccola volontà).

Una cosa è organizzarsi “in chiave di programmazione”, altra cosa organizzarsi in chiave di trasformazione:

In chiave di programmazione, partiamo dall’analisi della realtà e dalle relative sfide; offriamo poi chiavi di risposta; finalmente diamo risposte attraverso opzioni, priorità e azioni con le opportune responsabilità. Si valuteranno poi i risultati con il fine e così conseguire il risultato programmato.

“In chiave di trasformazione”, ci proponiamo di realizzare un viaggio che vuole risvegliare in noi, nelle nostre comunità, nelle nostre istituzioni, processi di vita. E’ questo ciò che è proprio degli organismi vivi. Nel suo itinerario, l’Organismo è pluridirezionale: riceve influssi interni ed esterni, spirituali, ambientali, contestuali e, in base a questi, va modificando e migliorando la sua “forma”.

Se ci consideriamo “organismi vivi”, intelligenti ed emotivi, in quanto persone, comunità e organizzazioni, dobbiamo prestare attenzione a quei processi nei quali la nostra interazione con l’ambiente e col contesto esterno ci rigenerino e ci trasformino. E’ così che ci apriamo non solo al futuro, ma anche all’avvenire: al futuro che possiamo prevedere e promuovere, all’avvenire che può arrivare, e che in chiave teologia chiamiamo “avvento”. Possiamo chiamare questa apertura dell’organismo vivo “speranza attiva”. Se d’altra parte “crediamo nello Spirito Santo, Signore e datore di vita” sperimenteremo come ogni processo di trasformazione accade nell’alleanza proprio con lo Spirito. Non escludiamo le necessarie programmazioni, come responsabilità dinanzi alla vita, ma non le assolutizziamo nemmeno, fermo restando che le subordiniamo ai processi trasformatori, che sempre le superano.

“Quando si trasformò in una farfalla, il bruco non parlò della sua bellezza, ma del fatto che la cosa non poteva essere. Desiderava che ritornasse al suo stato anteriore. La farfalla però aveva le ali” (Dean Jeckson).

Il racconto della vita consacrata si trova in un momento di passaggio. Viviamo un incredibile momento di evoluzione della nostra specie e stiamo arrivando a una maniera nuova di sentire. Vediamo la realtà già in modo diverso, ci sentiamo parte della comunità biotica della terra, riconosciamo che “tutto è interconnesso”; per questo stiamo guadagnando una nuova prospettiva per descrivere la nostra identità, la nostra cultura e la nostra fede.

 

4. Dall’ego-sistema all’eco-sistema comunitario

“Scopriamo chi siamo nella comunità e di quanta trasformazione abbiamo ancora bisogno. Per questo, io sono inequivocabilmente con i piccoli gruppi. Attraverso di essi, possiamo portare a compimento l’opera che Dio ci ha affidato di trasformare gli essere umani” (John Ortbergl) (7). E questo accade soprattutto a seconda che siamo centrati sul nostro io individuale o collettivo: non v’è strada né avventura né novità, ma un folle girare intorno al proprio cerchio o alla piazza, al centro dei quali sono io, che riaffermo fino alla sazietà la mia identità. Ci domandiamo allora: come realizzare il viaggio dall’ego-sistema all’eco-sistema?

Otto Scharmer (Teoria U) descrive in modo semplice le tappe di un processo di trasformazione che ci libera dal nostro egocentrismo. Invece che guardare agli altri, dobbiamo imparare a guardarci attraverso gli occhi degli altri e del tutto. Quando uno si spoglia della sua propria ego-visione, è allora che si addentra nella zona invisibile dalla quale è possibile cominciare di nuovo (8).

Guidati solo dal nostro modo di pensare siamo soliti dire: “Già, sì, lo so” e ci chiudiamo a qualsiasi altra nuova conoscenza.

Quando invece apriamo la nostra mente all’«altro», restiamo ammirati: “Ma guarda questo!”.

Quando contempliamo la realtà con il cuore aperto all’altro, con empatia, diciamo: “Già, capisco come ti senti!”.

Quando comprendo la realtà partendo dalla sua fonte o dal più profondo del nostro essere, con la nostra volontà aperta, allora diciamo: “ciò che sperimento non si può esprimere in parole; mi sento calmo e commosso; mi riconosco migliore; sono connesso con qualcosa che mi supera”. A questo livello si percepisce che uno non è la stessa persona prima e dopo dell’esperienza.

Se osserviamo il mondo che ci circonda, se adottiamo il punto di vista di altre persone – e non solo il mio -, se ascoltiamo ciò che è nuovo vedremo opportunità emergenti e sintonizzeremo con esse.

Quando ci guardiamo solo attraverso i nostri occhi, è urgente solo ciò che è “nostro”: non abbiamo mai tempo per il diverso; come nella parabola di Gesù, tutto ci scusa: non posso andare alla riunione, non posso partecipare perché… “ho acquistato un campo … mi sono sposato … ho molto da fare… (cf Mt 22, 1-10; Lc 14, 16-24). A ciò si aggiunge il cinismo: il cinico si esclude inoltre dicendo che poco gli importa ogni cosa che si faccia. O il vuoto della depressione: e non può cambiare nulla! Tutto può essere un fallimento.

Quando ci vediamo attraverso lo sguardo degli altri e nel contesto del tutto – e per questo cin preoccupiamo del riscaldamento globale, del fondamentalismo, dell’emigrazione, dei rifugiati, del disordine amoroso, ecc. – diventiamo più inclusivi e trasparenti, ci organizziamo meglio per servire al benessere di tutti. Quando si scioglie la frontiera tra l’ego e l’eco, emergono contributi sorprendenti, risultati innovatori, cambiamenti di mentalità e consapevolezza. E si produce una “rivoluzione dal di dentro”, una trasformazione contemplativa.

 

CONCLUSIONE

Come è bello contemplarci in un processo di programmazione o di trasformazione. La nostra Congregazione vuole tradurre questi processi di trasformazione nell’ambito della missione (un nuovo paradigma), della comunità (un gruppo profetico e contemplativo), dell’organizzazione e delle istituzioni (formazione trasformatrice), delle persone (un cammino in direzione della mistica degli occhi aperti).

Viviamo un momento nel quale sono necessari sogni, visione e audacia. E nel quale desideriamo esorcizzare la paura, il cinismo, il dubbio. “Uomini e donne di poca fede (oligopistia), perché dubitate?” (cf Mt 14, 31). La vita è inarrestabile.

La Congregazione desidera aprire processi attraverso i quali si verifichino l’una e l’altra conversione:

“Ci proponiamo di essere, con Gesù, Congregazione “in uscita” (Mc 1, 38), che accoglie la chiamata della Chiesa alla conversione pastorale-missionaria e ecologica: ci impegniamo a formare, sotto la mozione dello Spirito, comunità di testimoni e messaggeri; ci preoccuperemo di essere uomini di profonda spiritualità, che, docili alla raccomandazione di Papa Francesco alla Congregazione, adoriamo Dio nostro Padre “in spirito e verità” (Gv 4, 23) e accogliamo i processi di trasformazione che o Spirito ci ispira” (MS, 65).

 

Per la riflessione personale e comunitaria

Abbiamo coscienza che la nostra comunità non è protagonista della missione, ma umile e attenta mediazione della Missione dello Spirito di Dio Padre e di Gesù Cristo, il Risorto?

Che influenza ha il contesto – religioso, politico, culturale, sociale, ecc. – nel quale la nostra comunità è collocata nella configurazione della nostra comunità missionario e delle sue iniziative?

Siamo una comunità in processo di trasformazione? Quali sono gli indizi di tale trasformazione?

Che cosa più prevale nel nostro gruppo comunitario: l’ego-sistema e l’eco-sistema? Perché? Che cosa al riguardo possiamo fare?

 

1 Cf. HAC, 58

2 Cf. MS, 1-4.

3 Atti 2, 47

4 Atti 4, 32

5 Cf. Richard, N., Longenecker (ed), Community Formation in the Early Church and in the Church Today, Hendrickson, Peabody, 2002; Justin Smith, Missional Communities and Community Formation: What does the New Testament have to say, en “Missio apostolica”, 21 (2013), p 190-202. Richard Ascough prueba que Tesalónica era una comunidad “semejante en su constitución y estructura a una asociación profesional voluntaria”: cf. Richard Ascough, The Thessalonian Christian Community as a profesional voluntary association, en “Journal of Biblical Literature” 119 (2000), pp. 311-328; Philip A. Harland, Associations, Synagogues and Congregations: claiming a place in ancient mediterranean Society, Fortress Press, Minneapolis, 2003.

6 Mike Breen, Leading Misional Communities: rediscovering the power of living in mission together, Oete Berg, 2013. La casa familiare era lo spazio delle relazoni padre, madre, figli, schiavi, lavoratori, affari, associati. La “domus ecclesiae” (Filemone 1 Cor 16, 19; Rom 16, 6; Fil 2). Una difficoltà era che le “oikós erano separate le une dalle altre anche economicamente, donde la parola oikonomia. Se, come si pensava, condividere mezzi poteva mandare in rovina la propria casa, il Nuovo Testamento difendeva un modello alternativo: quello di condividere mezzi, insegnamenti; di vivere la koinonia. E ogni cosa sotto quell’unico Pater Familias che risuscitò Gesù Cristo dai morti.

7 John Ortberg, Si queres caminar sobre las aguas tienes che salir de la barca, Vida, 2003.

8 Cf. Otto Scharmer, Theory U. Leading from the future as it emerges, Berrte Koehler Publishers, San Francisco 2009.

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A missionary community

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Come mettiamo in relazione la nostra comunità missionaria con la proclamazione che Gesù fa del Vangelo del Regno? Guarda questo video e domandati come la tua vocazione sia parte del progetto di Gesù per l’umanità. Come si rapporta la generosità con la nostra vita e la nostra missione?

Introduction

  1. Comunità configurate per la missione
  2. La Comunità missionaria
  3. La comunità scuola di discepoli in missione
  4. Comunità profetica e contemplativa
  5. Liturgical and Celebratory Community
  6. Walking Forth in the Spirit. Practicing Discernment in Personal Life and in Communities
  7. Leadership and Organization of the Community
  8. Conflict Transformation in Community
  9. Forgiveness and Reconciliation in Community
  10. Celebrating Life and Mission in Intercultural and Intergenerational Communities
  11. The Dream of Being Community
  12. The Paschal Mystery in Our Communities