Cile. Nostra madre natura triste, rabbiosa, stanca di sopportare e patire di tutto, si è aggiustata, all’alba di sabato, con le sue placche teutoniche e ci ha detto, in un modo abbastanza inusitato, che in questo paese vi sono cileni e cilene mai esistiti, che non esistono e che non esisteranno. Sono stati qui solamente per occupare un posto nella mappa fino ad essere riconosciuti grazie ad un mortale terremoto, che ha scosso il centro-sud del Cile come chi si libera di un peso sulla spalla.
Il dolore si è perpetuato nel cuore di tanti compatrioti che hanno perduto in circa due minuti e mezzo i loro cari o su cui, dopo qualche minuto, il mare e le sue grandi ondate si sono abbattute, su luoghi finora sconosciuti. Inspiegabilmente si è rinnovata la fame, come mai si era visto in Cile da quando gli indici di crescita economica indicavano il contrario.
La miseria, inoltre, è stata l’evidente prodotto non tanto del terremoto naturale, quanto di quello etico e morale di alcuni, innominabili, che, approfittando del panico, hanno lasciato le briglie sciolte agli istinti più bassi e si sono messi a saccheggiare negozi, appartamenti, pompe, supermercati, asili infantili, collegi, edifici pubblici e case private. “Delinquenti”, chiamati dalle autorità, “lumpen” secondo la sociologia. Senza dubbio, i fatti dimostrano che medici, direttori, professori e ogni classe di professionisti in cravatta, della classe medio alta, si è mimetizzata con una facilità e disponibilità mai vista per essere insieme nel saccheggio, sentendo l’adrenalina scorrere mentre commettevano il delitto che ottiene l’impunità in questo paese. In questo modo, il saccheggio non è più responsabilità di alcuni cittadini marginali, ma di una società malata e debole che deve essere controllata da 14.000 militari con carri anfibi e con coprifuoco.
Questa è la conclusione immediata a cui siamo giunti dopo essere stati inviati dal nostro Superiore Maggiore, P. Agostino Cabré,cmf, a percorrere, durante tre giorni, le regioni del Cile più devastate dal terremoto, portando qualche aiuto in medicine, viveri e specialmente in acqua. Abbiamo visto, per esempio, la strada 5 spaccata, il crollo di ponti e passerelle tra Santiago e Malleco. Servizi essenziali collassati e in molti casi saccheggiati. Il tempo ci ha permesso, inoltre, di conoscere le nostre comunità pastorali, salutarle e offrire un abbraccio fraterno e solidale all’agente pastorale che ha sofferto nell’anima le stesse cose che hanno sofferto i nostri confratelli clarettiani.
Ci ha sbalorditi vedere il livello di distruzione in Curicò. Il glorioso santuario del Carmine, centro della vita pastorale e della religiosità popolare, pende da un filo: la struttura dei suoi muri non è sufficiente per sopportare il peso della volta della navata centrale: l’abside e l’altar maggiore semplicemente non esistono. La sagrestia nemmeno. I saloni parrocchiali, ristrutturati poco tempo fa, sono screpolati: ciò che un giorno è stato un luogo di incontri, di comunità, di solidarietà e di formazione catechistica, ciò che è stato il refettorio degli studenti poveri, oggi minaccia di crollare. C’inquieta vedere che uno dei muri della chiesa ha un’inclinazione tale da crollare da un momento all’altro sulla casa della comunità clarettiana. La torre campanaria, vista da lontano, è ora una minaccia continua per coloro che vi passano vicino e per le case sottostanti. Il nostro confratello Pepe Abarza, cmf, fra lacrime, mezze parole e singhiozzi, al vederci arrivare, ci ha abbracciati come fratelli di una stessa madre. Essa, nella sua immagine invocata come Vergine del Carmine, è stata ricuperata e posta nel giardino dell’ufficio parrocchiale da dove continua a dirigere la vita della sua amata terra curicana. In questo luogo, l’immagine è venerata da migliaia di pellegrini che giungono da varie parti della città e si commuovono al vederla, lontano dal suo luogo abitudinario.
Dopo aver visto la situazione della nostra comunità missionaria – Curicò in generale e i suoi dintorni – ci si è diretti al centro della città. I suoi edifici, negozi e case private, distrutti. Il danno è grande. Tutte le chiese della città sono colpite da vistose crepe. L’ospedale sarà prontamente rifatto e sarà necessario tagliare l’acqua alla città per iniziare i lavori. Grazie a Dio che i viceministri hanno cominciato lentamente ad arrivare. Voci ufficiali sollecitano la presenza di un contingente militare con stato di assedio come misura precauzionale davanti ad eventuali saccheggi e violenze (alcuni casi sono già avvenuti). Il maremoto, con il seguito di tre onde Tsunami, ha devastato, alle 6 del mattino, la costa da LLoca a Constituciòn.
Il panorama di Curicò si ripete un poco più a sud, a Talca. Forse con più violenza e con effetti di magnitudine 8,8 sulla scala Richter. Talca è un centro universitario e capitale di un infinito numero di paesi rurali e precordiglieri. Quella che in altri tempi era la casa dei padri, la casa coperta di tegole, la casa con i muri addobbati, oggi è scoperchiata ed è come un mucchio di polvere raccolta dalla scopa di una donna campesina, mentre sta infornando il pane e lo serve a tavola. Il santuario del Cuore di Maria dell’antica missione clarettiana, ha evidenti danni strutturali nella sua torre, facciata e muri laterali. Per il momento è chiusa ed isolata, in attesa che i danni siano valutati dagli specialisti.
In Talca visitiamo i familiari di Mario Gutierrez, cmf, ed insieme commentiamo il disastro del sisma, programmiamo la giornata ed ascoltiamo gli ultimi resoconti in un vecchio appartamento, alla luce delle candele. Riusciamo a dormire a tratti, in mezzo alle repliche delle scosse.
Nella mattinata di lunedì 1 marzo, il nostro giro ci porta alla città di Linares. In strada il mutuo riconoscimento con l’agente pastorale, un forte abbraccio e una parola d’incoraggiamento e di speranza ci commuove interiormente. Qui consegniamo viveri a un paio di famiglie mentre la gente costernata si avvicinava, e noi fotografiamo la torre dell’enorme basilica che pende sopra l’ufficio parrocchiale, sostenuta unicamente dalle travi d’acciaio che sorreggono, come uno scheletro dall’interno, questa grande costruzione. Sappiamo che le torri campanarie sono state aggiunte posteriormente al disegno originale del santuario e sappiamo anche che un’altra scossa finirà di distruggerla. La casa parrocchiale, oggi sede universitaria, ha pure danni evidenti nella facciata, cornice e muro, lato strada San Martìn. Nell’atrio della chiesa, vi sono danni minori, riparabili. L’interno della chiesa, oggi chiuso e isolato, ha sofferto di un serio sprofondamento sul presbiterio e sull’altar maggiore. Vi sono crepe e cadute di pezzi di tetto nel settore dell’abside, visibili dalla strada Valentin Latelier. Ora si sta valutando di far scendere l’immagine del Cuore di Maria dall’altare maggiore per proteggerla da eventuali danni. Così, dopo vari giri ed aver superato vari ostacoli, attraversiamo il centro della città di Linares (solo transitabile a piedi). Riusciamo a vedere i danni alla base dell’unica torre della cattedrale. Altri edifici pubblici, come la chiesa dei salesiani ed altre, pure moderne, hanno ceduto, mentre un centinaio di persone, raggruppate in strada, cercano di riprendersi e di trovare consolazione nel raccontare l’accaduto e nel porgersi domande.
All’uscire da Linares riusciamo a trovare benzina con relativa facilità. Sappiamo che la nostra prossima tappa, Concepciòn, sarà incerta quanto ad approvvigionamenti. Riusciamo a stabilire delle comunicazioni con Carlos Vargas, cmf, in Niebla. Ci ha detto che per il momento vive solamente degli effetti del panico e dello spavento; che cerca di animare la comunità cristiana che, fra le altre cose, soffre del terremoto e del maremoto più forte della sua storia.
Tranquillizzati dalle notizie di Carlos, continuiamo il nostro cammino fino al centro della zona del disastro: Concepciòn. E’ stato necessario uscire dalla strada 5-sud, fra i km 340 e 360. Crepe, cedimenti, ostacoli e un mucchio di buche lungo il cammino; non una posta, ma i disastri della madre terra quando si muove. Grazie a Radio Bio Bio, sappiamo della frana in Parral, in San Carlos, e dello stato di numerose strade in Itata, che ci dovrebbero portare a destinazione.
Giudichiamo necessario narrare ciò che vediamo, sperimentando e soffrendo nella nostra carne ciò che è accaduto in questa terra del grande Bio Bio. E’ come sprofondare ancor più nella sofferenza di molti cileni e cilene. I mezzi di comunicazione nazionali ed internazionali hanno pubblicato, anche in maniere molto brutte, un’ampia informazione dei fatti accaduti in Concepciòn, Talcahuano, Coronel, Lota, Curanilahue, Los Alamos e Cañete. E’ sicuro che al terremoto e maremoto della mattinata di sabato passato ha fatto seguito un altro movimento tellurico tanto disastroso come il primo: il terremoto etico e morale che è regnato in queste terre (qualcosa di ciò lo abbiamo già descritto all’inizio). E nonostante il male diagnosticato e pronosticato dalle autorità del nostro paese, abbiamo un grosso debito con migliaia di compatrioti, vittime del terremoto e della violenza.
Questo è il pezzo di paese che abbiamo attraversato in tre giorni, inviati dal nostro Superiore Maggiore. Una sorte di ferita aperta dove gli indici economici che vanno per il mondo alimentano ogni volta di più le ingiustizie sociali esistenti. Bisogna togliere le macerie, senza dubbio, e ricostruire il paese, naturalmente. Ma insieme bisogna ricostruire l’educazione e il rispetto reciproco del nostro popolo che ha dato segnali chiari di essere a terra. Solo così potremo plasmare nella coscienza di questo popolo la giusta ragione di fronte al peggiore dei crimini che è la fame e l’abbandono; solo così potremo reclamare la libertà di sentirci figli e figlie orgogliosi di vivere in terra cilena e solo così potremo chiedere a Dio Padre, nel suo Figlio Gesù, che, nonostante il tempo perso, è possibile ricuperare il buon senso e ristabilire il diritto di vivere in pace, perché «se lei è capace di tremare d’indignazione ogni volta che si commette un’ingiustizia nel mondo, siamo compagni, che è più importante» (comandante Ché Guevara) (Foto)
Claretiani Mario Gutiérrez e Pedro Rojas