LA TESTIMONIANZA, MIGLIORE DELLA CRITICA
Nessuno è così libero dal peccato o e così innocente che può lanciare pietre contro gli altri (cf Gv 8,1-11). Nella scena evangelica dell’adultera, l’unico giusto e innocente è lui che mai lancerà una pietra contro un’altra persona. Il modo di fare di Gesù consiste nel mostrare, con la propria vita, il cammino adeguato per la conversione e il cambiamento, e motivare gli altri perché lo seguano.
La critica o la calunnia creano muro e divisione tra le persone. E l’evangelizzatore è soprattutto un costruttore di ponti e di legami di comunione degli uomini e delle donne tra di loro e con Dio. Claret si propose di non lamentarsi né difendersi nel caso fosse accusato o calunniato (cf Aut 432). Probabilmente il motivo di fondo era di considerare che niente doveva distoglierlo dalla sua vocazione e missione più importante: aiutare le persone a incontrarsi con Gesù Cristo. Se dedicava il tempo a difendersi, correva il rischio di lasciare l’annuncio in secondo piano. E, d’altra parte. La sua profonda umiltà lo portava non mettere in mostra la propria virtù.
Forse sta qui il nucleo della questione: se, la vocazione primaria di ogni cristiano, è di dare testimonianza di Gesù Cristo, dobbiamo essere consapevoli della necessità che, il proprio «io» non appaia in primo piano, né sia la nostra prima preoccupazione. Viste così le cose, ci può essere meno difficile saper incassare le critiche o anche le calunnie di cui possiamo essere oggetto. Ci aiuterà sempre la coscienza che aveva Giovanni Battista del fatto che la sua persona doveva passare in secondo piano perché Gesù occupasse il centro: «perché lui cresca e io diminuisca» (Gv 3,30).
Che cosa cerco prima di tutto nelle mie attività: far valere le mie ragioni o virtù, o che Dio sia conosciuto, amato e servito? Sono capace di superare le piccole o grandi critiche ingiuste che mi rivolgono e seguire con gioia la mia vocazione cristiana?